Hatebreed
Hatebreed

2009, Roadrunner Records
Hardcore

Recensione di Riccardo Calanca - Pubblicata in data: 27/10/09

La prima impressione che ho avuto dopo aver ascoltato “Hatebreed”, è che suona decisamente poco Hatebreed! Che la band americana avesse voglia di rinnovarsi e di introdurre nuovi elementi era presumibile anche nel precedente “Supremacy”, ma nel nuovo album gli Hatebreed si sono davvero superati, rompendo quella barriera che loro stessi hanno costruito, quella della “perseveranza” nel modo più hardcore e ignorante possibile. “Hatebreed” va decisamente contro quella caratteristica che li ha spinti verso un successo rapido e glorioso, un’attitudine che li ha fatti arrivare ai livelli di mostri sacri del calibro di Slayer e Machine Head. Dunque che cosa c’è di nuovo in casa Jasta? Cosa bolle in pentola di così assurdamente innovativo? La risposta si palesa nelle note e nei riff di “Hatebreed” sotto forma di elementi di scuola Thrash Bay Area, Sepultura, cori in stile Testament, strutture molto più vicine al Metal che non al selvaggio mondo dell’ hardcore, ma soprattutto nella voce del leader Jamie. Personalmente l’ ho trovata generalmente apprezzabile, ma c’è qualcosa che non convince fino in fondo, è priva dei toni e della grinta che lo hanno reso celebre, spesso risuona piatta e ripetitiva: ridondante, come forse tutto l’album!

Un fan affezionato alle performance animalesche di “Under The Knife” o “Perseverance” troverà molte ragioni per storcere il naso e spegnere lo stereo, mentre un ascoltatore più tollerante e “open-minded” riuscirà a cogliere in maniera più positiva l’infarinatura melodica cui la band e soprattutto il cantante stanno andando incontro, qualcosa che si notava soprattutto nel project Kingdom Of Sorrow ad esempio, ma che mai mi sarei aspettato in un disco degli Hatebreed. E’ proprio questo che mi lascia con qualche cruccio, il fatto che stiamo parlando degli Hatebreed e da loro ci si aspettava qualcosa di meglio.

Tornando all’album, “Hatebreed” si lascia ascoltare con piacere ma senza estasiare, lascia assaporare sfuriate veloci ben amalgamate, a rallentamenti monolitici in cui le chitarre di Martin e Novinec sembrano prendere la forma di una catena montuosa. E’ un disco che spinge ma che non sfonda, forse proprio a causa di tutti quei cambiamenti appena descritti, e sicuramente a causa della lunga durata: 14 brani sono troppi e alla lunga sembrano essere tutti lo stesso brano, a partire dalla grintosa opener “Become The Fuse”, passando attraverso momenti più spenti e altri più apprezzabili, come “Through The Thorns” fino ad arrivare alla conclusiva “Pollution Of The Soul”.

Concludo con una constatazione, probabilmente frutto di una visione erronea in termini futuri, ma che attualmente è indiscutibile: il problema principale degli Hatebreed potrebbe diventare proprio il folto numero di fans affezionati a quelli che ora possiamo chiamare “i vecchi Hatebreed”.
Prima di acquistare questo omonimo disco il mio consiglio è di rifletterci più e più volte, poichè l’orientativa sufficienza che vedete scritta su questa recensione può significare una promozione a pieni voti, oppure una sonora bocciatura, dipende esclusivamente da voi!



01. Become The Fuse
02. Not My Master
03. Between Hell And A Heartbeat
04. In Ashes They Shall Reap
05. Hands Of A Dying Man
06. Everyone Bleeds Now
07. No Halos For The Heartless
08. Through The Thorns
09. Every Lasting Scar
10. As Damaged As Me
11. Words Became Untruth
12. Undiminished
13. Merciless Tide
14. Pollution Of The Soul

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