Alice In Chains
Black Gives Way To Blue

2009, Virgin/EMI
Alternative Rock

Una lezione di classe, un grandissimo ritorno, una band mitica. Bentornati Alice In Chains!
Recensione di Stefano Risso - Pubblicata in data: 17/11/09

Quattordici anni di silenzio e la morte prematura di Layne Staley, carismatico cantante e icona di una generazione, non sono bastati per porre la parola fine alla storia degli Alice In Chains, una delle formazioni più influenti e amate degli anni novanta. Una storia nata con l'esplosione della scena grunge di Seattle, una carriera folgorante, milioni di dischi venduti in tutto il mondo, ma che pareva concludersi in modo poco consono a una rock band di tale caratura. Una fiamma che sembrava consumarsi lentamente, sostenuta solo dall'affetto dei fan e dal ricordo dei momenti di gloria.

Hope, A new beginning, Time, Time to start living, Like just before we died, There's no going back, To the place we started from”. Sono gli Alice in Chains stessi, con i primi toccanti versi di "All Secrets Known" a spiegarci molte cose. Un nuovo inizio, segnato però dalla consapevolezza che non si può tornare indietro, le persone, gli affetti che ci hanno lasciato non torneranno più, però non si può smettere di vivere, non si può non andare avanti. Non a caso questi sentimenti aleggiano per tutta la durata di "Black Gives Way To Blue", un lavoro che sembra aver saltato a piè pari tutte le sofferenze e tutti gli anni di inattività, riportandoci una band che ricomincia dove aveva smesso, con una continuità stilistica che non può che confortare i milioni di fan in attesa del quarto album di Cantrell e compagni.

Gli Alice In Chains sono sempre loro, la loro musica è pulsante, profonda, rabbiosa, malinconica, atmosferica. I riff di Jerry Cantrell sono un manifesto di come si possa scrivere ottimi pezzi senza strafare, curando al massimo ogni passaggio, donando ad ogni nota una particolare sfumatura, un significato che arriva forte e chiaro, per poi non levarsi più dalla testa. Undici brani che lasciano il segno, meno inghiottiti nella spirale di disperazione che solo Staley sapeva donare, con una piccola dose di speranza che affiora qua e là, ma con la classe e la consapevolezza di sempre. Praticamente impossibile definire una scala di valori all'interno del disco, tanta e tale è la qualità e il trasporto che gli Alice In Chains hanno profuso in questa opera; dal fantastico arpeggio iniziale di "All Secrets Known", pronto ad sbocciare in un brano a dir poco struggente, passando per la trascinante "Check My Brain", la granitica "Last Of My Kind", o la ballata "Your Decision", brano di un'intensità incredibile, malinconica ed elegante come poche canzoni ascoltate negli ultimi anni. Un susseguirsi di momenti di grande musica, ipnotica eppure morbosamente trascinante, melodica e all'occorrenza pesante. Una qualità che non si ferma ai primi brani comunque, ma che si mantiene fino alla fine, tra cui si distinguono la sabbathiana "Acid Bubble", "Private Hell", altro macigno emozionante e la conclusiva title-track, l'ultimo toccante tributo a Staley, con un ospite d'eccezione come Elton John al pianoforte.

Grande merito alla band dunque nel aver proseguito la propria gloriosa storia senza averne intaccato il nome, riuscendo a mantenere quello status di fuoriclasse che ne ha decretato il successo negli anni novanta. Buono anche l'ingresso del nuovo membro William DuVall, chitarra e voce (in staffetta con Cantrell), intelligente nel non imitare il suo illustre predecessore, ma dando una propria interpretazione ai pezzi. Un disco di quelli che rimangono per mesi nel lettore, sempre pronto a emozionarti ad ogni tornata, un grande ritorno per una delle ultime (vere) rock star che la musica ricordi, diventati immortali unicamente per meriti propri. In un panorama popolato da cloni, pupazzi, inutili primedonne e musicisti senza talento, il ritorno alla profondità del rock è qualcosa di impagabile. 



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