Il pezzo che dà inizio all’ascolto dell’album è “Who's At Your Door”, carico e ritmicamente piuttosto coinvolgente, tuttavia è inspiegabilmente assente il cantato, che avrebbe di certo giovato al brano, data la sua struttura molto regolare e la presenza di due soli assoli veri e propri (uno di chitarra, l’altro di tastiere). Solieri cerca di rimediare a questa partenza deficitaria il buon mix di hard rock e blues di “Twisting Your Soul”, seguita dall’altrettanto ben suonata ma meno convincente “Money”, caratterizzata da una strofa troppo pesante, dai suoni troppo pastosi rispetto al ritornello decisamente più limpido; il primo assolo presenta, tra l’altro, imperfezioni che paiono fuori luogo in una produzione “studio” dove si ha la possibilità di correggere gli errori eventualmente prodotti durante l’esecuzione.
Non va certo meglio con la successiva improvvisazione “Blues In B-Minor”: noiosa, senza appeal e con una base ritmica che par presa direttamente dalle innumerevoli presenti su YouTube, è un mero esercizio stilistico, scontato dall’inizio alla fine. La seguente “Endless Lover”, anch’essa strumentale, è invece di tutt’altra fattura, e pur avendo chiaramente una struttura verse-chorus-verse come il brano d’apertura, in questo caso la mancanza del cantato vien sopperita egregiamente dalla chitarra dello stesso Solieri, che delinea linee ritmiche proprio come se fosse lo strumento a cantare. Il momento di maggior ispirazione è insito proprio in questa parte centrale di “Volume I”, dato che si prosegue con la bella semiacustica ed intimista “Ordinary Man” (una prima parte molto delicata, ed una seconda parte con un grande assolo di chitarra, davvero ispirato) e l’ariosa “I Need So You, Babe”, dove c’è qualche richiamo (voluto o meno non è dato saperlo) a “Un Senso” del suo “capo” Vasco Rossi. Arriva dunque “Every Little Thing”, in parte da considerarsi un omaggio allo stile chitarristico del guitar hero Steve Vai: non originalissima, ma quantomeno orecchiabile e piacevole all'ascolto.
L’orribile “Save The World”, che copia in maniera spudorata “What's My Age Again” dei Blink 182 ed alcune idee di “Video Killed The Radio Star”, precede l’ottimo duetto di Maurizio Solieri e Michele Luppi (tra le migliori ugole attualmente in circolazione) nella conclusiva ballad “Please, Believe Me”. È un vero peccato non aver sentito Luppi all’opera in altri brani, magari proprio al posto di Solieri (ha una bella voce, ma delle volte risulta poco incisiva; cantare non è il suo lavoro, dopotutto). In veste di special guest “costante”, qualche composizione ne avrebbe sicuramente giovato.
Escludendo (a fatica) tre o quattro composizioni convincenti, “Volume I” è piuttosto deludente, e dispiace davvero ammetterlo. Il chitarrista nostrano ha indiscusse capacità, un'onorata ed ancora soddisfacente carriera, ma pare che questo suo progetto solista non sia stato sufficientemente curato: al di là dei suoni perlopiù pastosi, che possono piacere o meno, è innegabile la presenza di alcune imperfezioni grossolane e momenti davvero sottotono, difetti che possono e devono esser evitati in un lavoro simile.