Arthemis
Blood-Fury-Domination

2017, Scarlet Records
Heavy Metal

Recensione di Stefano Torretta - Pubblicata in data: 06/04/17

Quanta strada hanno percorso gli Arthemis, dal lontano 1999 fino ad oggi! Etichettare nel 2017 il combo scaligero come un ensemble power metal sarebbe estremamente riduttivo. Infatti, se questo valeva agli esordi con il debutto “Church Of The Holy Ghost”, i continui cambi di formazione occorsi negli anni – attualmente l’unico membro originale rimasto è il solo Andrea Martongelli – hanno portato una radicale evoluzione nello stile musicale della band. L’ultimo nato in casa Arthemis, “Blood-Fury-Domination” è il punto d’arrivo di questa maturazione.

I cinque anni intercorsi tra il precedente "We Fight" e questo ultimo full-length non hanno certo visto il combo veneto rimanere inattivo. Cambio di etichetta – dalla Off Yer Rocka Recordings alla Scarlet Records -, tantissimi concerti – date autonome, festival di prim’ordine come Hellfest Open Air, Wacken Open Air, Download Festival, ma non solo, visto il tour a supporto di Gus G –, ma anche un live nel 2014, quel "Live From Hell" dove è stata sperimentata la nuova formazione che troviamo anche in questo ottavo album da studio. Tutta questa attività live ha portato ad un’ottima intesa tra i quattro membri del combo. Se Martongelli rimane la colonna portante della band e Fabio Dessi si conferma nuovamente come un grandissimo cantante, ideale per lo stile attuale, le due novità alla sezione ritmica - Giorgio Terenziani al basso e Francesco Tresca alla batteria, già presenti comunque nel live del 2014 – portano un’ulteriore ventata di varietà al sound degli Arthemis.

"Blood-Fury-Domination" è un album diretto, pesante, che guarda molto al metal moderno - "Black Sun" e "Blood Red Sky" due esempi su tutti - ma che comunque non disdegna affatto inglobare anche altri elementi. La velocità risulta sempre sostenuta e la band concede un solo momento di riposo agli ascoltatori con la classica ballad ("If I Fall"). "Undead" è un ottimo biglietto da visita capace di mostrare tutti i pregi e le caratteristiche presenti nell’album. Non a caso è stato prescelto quale primo singolo video. Rispetto al precedente capitolo, il nuovo disco presenta una produzione di alto livello che riesce a eliminare tutti i problemi presenti su "We Fight". Sarà che il tocco da Re Mida di Simone Mularoni ormai è una certezza, ma la sezione ritmica sembra rinata a nuova vita, non più coperta dalla chitarra di Martongelli come in passato. Tutto ciò è un bene, visto che di momenti dove basso e batteria possono splendere ve ne sono diversi. Basta ascoltare pochi secondi di "Firetribe", con la sua anima latino americana alla Pantera, per accorgersi del drumming ispirato di Tresca e delle linee di basso di Terenziani, decisamente terremotanti, capaci di creare un perfetto connubio tra gli elementi tribali e l’aspetto più cyber. Pur mantenendo un sound personale, gli Arthemis inglobano, sperimentano, ampliano gli orizzonti. Innestano elementi prog ("Blistering Eyes"), strizzano l’occhio al vecchio amore per il power ("Dark Fire"), si dilettano con una ballad. Ed è proprio con "If I Fall", l’unico lento del lotto, che ci accorgiamo di come la scrittura dei brani cerchi di essere sempre diretta ed asciutta. In questo caso abbiamo la voce di Dossi e la chitarra di Martongelli che tessono una trama delicata, soffusa di sentimenti, abbandonando anche solo per poco più di quattro minuti le atmosfere violente e rocciose che caratterizzano l’album. La stessa conclusiva "Rituals" pur mostrando un DNA thrash, si abbevera all’heavy metal classico anni ’80, dando vita ad una contaminazione tra moderno e passato che spiazza ma che riesce a svegliare i sensi dell’ascoltatore. Mentre altre band che guardano alla scena di metal moderno riescono a suonare solamente artefatte, finte, i nostri quattro ragazzi risultano molto veri e vitali, dando vita ad un metal roccioso e tellurico.

Gli Arthemis vogliono distinguersi dagli altri. Questo è ben chiaro a tutti. Ma non sempre avere personalità e suonare originali porta ad un album compatto e con una struttura godibile dal primo all’ultimo minuto. Per nostra fortuna in questo caso l’esperienza accumulata nel corso degli anni ed una visione che sembra essere ben chiara nella mente dei membri del combo scaligero hanno dato vita ad un ottimo disco che riesce a migliorare ulteriormente quanto di buono già visto nel precedente "We Fight". Ci troviamo di fronte ad un full-length ben scritto, ben suonato e ben prodotto. Un disco che, una volta tanto, riesce a parlare a tutto il pubblico di appassionati e non solo ad una nicchia ristretta. Si diceva all’inizio come "Blood-Fury-Domination" sia il punto d’arrivo della maturazione della band. Per quanto sia una bella frase ad effetto, perfetta come tagline a fini commerciali, in verità sembra più che ci troviamo solamente di fronte ad una nuova tappa nel continuo, inarrestabile processo di mutazione che contraddistingue lo stile della band. Una mutazione non fine a se stessa, ma ben agganciata al DNA del combo e per questo perfettamente sensata.



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