Three Days Grace
Human

2015, RCA
Alternative Rock

Recensione di Riccardo Coppola - Pubblicata in data: 28/03/15

Immaginate di far parte di un gruppo di onesti mestieranti non troppo originali e incapaci di diversificare la propria offerta, riusciti con i propri sforzi creativi a pubblicare quattro album di cui tre a un ascolto distratto sembrano sostanzialmente remastering dell'esordio, totalmente inseparabili da una serie di tematiche tardo-adolescenziali diventate fortunatamente fuori moda da una decina abbondante d'anni, e tenuti però a galla da un vocalist dalle capacità ben oltre la norma. Quale di questi elementi pensate che vi converrebbe cambiare per dare una svolta alla vostra stagnante carriera?

I Three Days Grace, manco a dirlo, si trovano adesso a fare a meno della struggente e inconfondibile voce di Adam Gontier, e dopo un paio d'anni di assestamento e di incertezze riescono a rimpiazzarla con quella del fratello del bassista Matt Walst, tale Brad, già fattosi sentire in altri outfit pseudo-pop-punk ben lontani dal contesto post-grunge in cui deve adesso calarsi. Ed è proprio qui che si consuma il peccato mortale di questo nuovo "Human": cercare di ricostruire una formula in passato vincente ma adesso del tutto inadatta a chi si trova dietro al microfono, a suo agio soltanto in qualche episodio ("So What", per esempio) e per il resto impegnato in un affannato scimmiottamento di un inarrivabile predecessore.

Peccato che si aggiunge, in realtà, a una serie di criminosi retaggi del passato, perché le nefandezze che la band si porta dietro da "Life Starts Now" sono qui accuratamente riproposte e amplificate: ancora una volta, gli auto-plagi affiorano in quantità industriale, con brani come "Tell Me Why" che riescono a sembrare identici sia ad altri pezzi di questo stesso disco ("Painkiller") che a vecchi successi ("Animal I Have Become"); ancora una volta, un concept interessante viene sviluppato in maniera imbarazzante, con i presupposti d'analisi della razza umana e dell'alienazione causata dalle routine che si risolvono nelle solite banalità post-emo sull'incapacità di provare sentimenti; ancora una volta, si è assurdamente approssimativi anche in ambiti vitali quali l'adattamento delle lyrics ai testi ("Human Race" sfoggia ripetizioni insensate di intere battute e inserimenti di un enorme numero di "yeah" per riempire forzatamente un buon 40% dei versi).

E' difficile, veramente, riuscire a immaginare un album tanto inoffensivamente rumoroso, tanto -nelle intenzioni- votato alla creazione di hit da classifica quanto -nei fatti- incapace di lasciare un singolo hook memorabile, una sola melodia interessante. E pur tralasciando la perdita di carisma e appeal dovuta al cambio di frontman (bastino i tanti, tantissimi sostenitori della band che hanno composto una schiera pro-Adam e una pro-Matt e che si stanno già scannando a dovere su ogni piattaforma di streaming e su ogni social), è impossibile non constatare come "Human" sia un disco scritto e suonato male, una fredda, asettica e triste applicazione di una formula matematica di cui era già stata più e più volte provata l'inefficacia.



01. Human Race
02. Painkiller
03. Fallen Angel
04. Landmine
05. Tell Me Why
06. I Am Machine
07. So What
08. Car Crash
09. Nothing's Fair In Love And War
10. One Too Many
11. The End Is Not The Answer
12. The Real You

Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool