Al di là dell'abile costruzione architettonica dei brani, del bell'uso delle armonie (perdonando qualche arco synth di troppo, a nostro sentire, come in "Further Down"), quello che troviamo davvero riuscito e convincente in questo lavoro è l'equilibrio raggiunto dalla produzione, in cui chitarre e tastiere - elementi che a volte possono letteralmente fare a pugni se giustapposti - si amalgamano alla perfezione senza confondersi e dando vita a un sound rotondo, pieno e ricco di dinamiche che, sempre a nostro sentire, compensano una certa monotonia nelle scelte armoniche che potrebbe annoiare, ma che l'abile gestione dei chiaroscuri sa riscattare. Difficile segnalare un brano che spicchi particolarmente sugli altri, a tal punto è fitto il tessuto di legami armonici e tematici che lega i brani del concept album, come movimenti di una sinfonia. Prendiamo "Zeal", sognante, cupa, romantica, la più prog e la più doom delle tracce, inizialmente tesa verso suadenti pad e graffianti derive prog rock che -oseremmo- a tratti ricordano episodi di "Darwin!", capolavoro del Banco Del Mutuo Soccorso, per poi precipitarci nella doppiacassa e nel growl, e aprire al pathos nei refrain. Tracce di folk metal persistono in "Scatterprey", mentre è davvero arduo stabilire quale sia il pezzo più cattivo. C'è davvero un pezzo cattivo? Paradossalmente, l'effetto complessivo dà vita a un suono così liscio, smussato, equilibrato, patinato, privo di picchi come di cadute, da rendere quasi accessoria l'etichetta di "metal".
Perdonateci, è certamente colpa nostra, ma per come la vediamo noi il metal metal a volte accarezza, a volte morde, a volte abbraccia, a volte colpisce in pieno grugno. È attitudine, oltre che doppia cassa, growl e distorsioni. E qui l'attitudine metal, se non è assente del tutto, quantomeno latita. Se manca uno dei lati del prisma, se si graffia senza colpire davvero, se non c'è neppure mezza increspatura, spiacenti: non è metal. Ascoltare "Solitude Pith", brano che - al netto del growling -, con le sue progressioni su scale arabe, non stupirebbe di trovare in un album di prog rock tout court, o magari di rock psichedelico (ci sono pure i flauti...). Detto questo, è certo un lavoro che susciterà apprezzamenti tra i progster, ma ci chiediamo se battere strade armoniche già ampiamente esperite non renda stretta anche l'etichetta di "progressive". Teoricamente il prog non dovrebbe sperimentare, esplorare? Forse non necessariamente. In conclusione, "A Complex Of Cages" è un disco che non delude senza però del tutto convincere davvero. Temiamo che, a lungo andare, il gioco rischi di mostrare la corda e che non ci sia noia più noiosa di quella di un album metal che non metalleggia. A buon intenditor...