Art of Anarchy
The Madness

2017, Century Media Records
Modern rock/Post grunge

Orfana del compianto Scott Weiland, la superband composta dal'ex Guns Bumblefoot e John Moyer dei Disturbed trova in Scott Stapp la chiave per un nuovo inizio. Il secondo album degli Art of Anarchy, pur nelle numerose citazioni ai Creed, ha tutte le carte in regola per garantire alla band un buon seguito
Recensione di Salvatore Dragone - Pubblicata in data: 25/03/17

Storia davvero curiosa quella degli Art of Anarchy, almeno per due semplici motivi: il primo, contrariamente a quanto succede di solito, è che sono due semi sconosciuti ad aver gettato le basi per un gruppo formato da star; secondo, non tutti possono vantare nella line-up due icone del grunge. Nel 2011 i due fratelli newyorkesi Jon e Vince Votta, attivi da tempo nella scena underground della grande mela, riescono a coinvolgere l'amico di vecchia data Ron "Bumblefoot" Thal, virtuoso della chitarra, per otto anni in pianta stabile nei Guns N' Roses. Ed è così che, grazie ad un sponsor così forte, la formazione si completa con John Moyer, bassista dei Disturbed, e Scott Weiland, indimenticabile voce degli Stone Temple Pilots.

Pubblicato l'omonimo album di debutto nel 2015, gli Art of Anarchy hanno subito dovuto fronteggiare due problemi non da poco con la presa di distanza di Weiland, concentrato sulla sua carriera da solista, e con la successiva scomparsa del cantante. Un vuoto così pesante dietro al microfono poteva essere colmato solo da una personalità altrettanto importante, e quale occasione migliore per accaparrarsi una star in cerca di riscatto come Scott Stapp. Chiusa quasi definitivamente la parentesi Creed, con una carriera solista mai decollata e tanti problemi personali alle spalle, il 43enne di Orlando è salito a bordo di questa nuova avventura con tutte le migliori premesse e speranze.

"The Madness" è disco della seconda vita degli Art of Anarchy, per la prima volta in una dimensione di band vera e propria, e probabilmente anche di Stapp. Sebbene anche in questo caso il risultato finale risenta molto del bagaglio artistico del frontman, a differenza del primo album si percepisce il lavoro di un collettivo dove ogni personalità contribuisce mettendoci del suo. Registrato e missato da Bumblefoot, qui nella doppia veste di producer e musicista, tra le novità più immediate di questo secondo capitolo ci sono anzitutto i suoni notevolmente più curati e meno grezzi, con le chitarre a dominare la scena insieme alla voce. Fatta eccezione per l'opener "Echo of a scream", in cui è ancora palese lo spettro di Weiland, gli Art of Anarchy attingono appieno agli ultimi dieci anni di modern rock e post grunge americano, anche se finendo spesso per citare i Creed o gli Alter Bridge. L'ombra di questi artisti si allunga infatti su quasi tutta la durata di "The Madness", con qualche altro episodio che tira in ballo ad esempio gli Shinedown ("A Thousand Degrees") o addirittura i Placebo (nella titletrack). Fatto positivo o negativo? La verità potrebbe stare nel mezzo, perché se è vero che la band non inventa nulla di nuovo, allo stesso modo non si può negare come le canzoni abbiano tutte del gran potenziale. Ed è qui che bisogna fare i complimenti a Stapp, capace non solo di cantare come non accadeva da tempo, ma anche di mettersi completamente a nudo in testi molto intimi quasi fosse una catarsi personale. Adesso non rimane che capire se gli Art of Anarchy riusciranno o meno a portare avanti la propria carriera, le carte di "the Madness" sono tutte in regola per poterlo fare.




01. Echo Of A Scream
02. 1,000 Degrees
03. No Surrender
04. The Madness
05. Won't Let You Down
06. Changed Man
07. A Light In Me
08. Somber
09. Dancing With The Devil
10. Afterburn

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