Audioslave
Revelations

2006, Interscope
Hard Rock

Recensione di Riccardo Coppola - Pubblicata in data: 31/12/14

Correva il 2006: c'era Chris Cornell che solleticava le sue torme di fan delineando i contorni di un nuovo album da solista, e che veniva scelto per fare da sottofondo a James Bond. C'erano i Rage Against The Machine che a detta dei bene informati erano sempre sul punto di riformarsi, con voci di corridoio che sostenevano come la lentezza biblica in sede di composizione di Zack De La Rocha si fosse fatta da parte (il futuro ha dato un'eloquente risposta, col numero di inediti pubblicati dai RATM dalla loro reunion nel 2007 a oggi: zero.)


Ah, già: c'erano anche gli Audioslave. Ma a quanti interessava alla fine parlare ancora degli Audioslave? Veniva, il supergruppo all'atto pratico poco super, da un primo album omonimo che aveva diviso la critica ma che in media aveva deluso, e da un "Out Of Exile" che aveva messo tutti d'accordo nel considerarlo un'autentica schifezza. Verosimile, però, che ci fosse un contratto da onorare con mamma Interscope, che in quanto a promozione di certo non aveva certo mai scherzato, piazzando anche un isolotto a foggia del loro logo (a proposito, che cos'è? Una fiamma? Una mano? Una mano-fiamma? E che c'entra con "Audioslave"? Non lo sapremo mai.) in un oceano random delle mappe di Google Earth. Per cui ecco spuntare un terzo dischetto a una manciata di mesi dal secondo, composto frettolosamente con riff tirati fuori dai cassetti di Morello, con un paio di videoclip montati con immagini dei membri della band rigorosamente ripresi individualmente (Che non fossero insieme? Che non fossero tutti insieme nemmeno per registrare l'album? Non sapremo mai neanche questo), e intitolato pomposamente "Revelations" quando era più che chiara la sua natura di "mettiamo assieme qualche riff e qualche urletto, vendiamo qualche copia giacché ci togliamo il pensiero, e ci siamo visti".

 

Ma qualcosa sconvolge i prevedibili esiti di tutta la faccenda, e ne viene fuori un disco che va molto, molto oltre la cantilena di basso e corde stoppate di "Original Fire", anthemico main single con deformi lyrics che uniscono rigurgiti riottosi alla RATM con apocalittiche metafore da giardino del suono (va a finire che nel video spuntano Bruce Lee e Mandela mentre Cornell canta di soldati dorati che affondano in mari di mani in città dimenticate), e con un assolo definito eloquentemente, dallo stesso Morello, "a screaming monkey". E che contiene episodi migliori anche dell'altro singolone e title track, hard rock meno Zeppeliniano e molto più diretto e coinvolgente delle precedenti hit, tanto moderno e grezzo da trovarsi benissimo, dalle nostre parti, negli spot televisivi dell'appuntamento settimanale con Steven Seagal.

 

"Revelations" infatti, facendo della rapidità con cui è stato composto il suo punto di forza, finisce per essere non sbrigativo, bensì spontaneo e onesto: senza l'inserzione forzata di particolari su particolari, le tracce in scaletta sfruttano le peculiarità di ciascuno degli elementi della band, apparecchiando serrate ritmiche in 4/4 che richiamano hard rock di settantiana memoria, sotto infiltrazioni funky e memorie grunge al microfono. Lasciate le patine di miele a ricoprire le precedenti uscite, prendono forma così genuine ballate come "Until We Fall" (criptico lento che è forse una dedica d'amore, forse un inno alle sostanze psicotrope) o la più scanzonata "Nothing Else To Say But Goodbye", fusa in coda con le durezze doomy dell'oscura "Moth"; tiratissimi riff e prepotenti ritmiche di basso bombardano l'imperdibile up-tempo "One And The Same" (appare qui l'immancbile wah) e la rabbiosa mestizia di "Shape of Things to Come".

 

A spiccare, sul finire, sarà la presenza di quello che è probabilmente il brano migliore dell'intera discografia della band: una "Wide Awake" che vede Cornell sorprendentemente a suo agio nell'affrontare tematiche politiche per lui assolutamente inedite (l'uragano Katrina e la non-presenza del governo statunitense), con un'intensità vocale da lacrime agli occhi, su una chitarra quasi sempre silente che affiora per graffiare a colpi di power chord sui ritornelli e per incidere un assolo semplice ma drammatico. Un'ispirazione che però saltuariamente si spegne ("Broken City" o "Somedays" non sono certo brani da tramandare come patrimonio del rock) impedisce a "Revelations" di travalicare lo status di buon disco per raggiungere quello di capolavoro, ma non scalfisce la sua leadership all'interno del modesto trittico di album rilasciati dagli Audioslave. Ma chiedersi quanto il collettivo avesse ancora da dire si dimostrerà ben presto un esercizio oltremodo sterile: basteranno cinque mesi perché arrivi il game over, già ampiamente preannunciato, di un'avventura durata appena sei anni.

 

"Gli Audioslave sono stati una vera collaborazione fresca perché assomigliava molto a un gruppo giovane. Ma la mia esperienza non equivale a quella di un ragazzino di 19 anni in un gruppo rock."
(Chris Cornell, febbraio 2007)





01. Revelations
02. One and the Same
03. Sound of a Gun
04. Until We Fall
05. Original Fire
06. Broken City
07. Somedays
08. Shape of Things to Come
09. Jewels of the Summertime
10. Wide Awake
11. Nothing Left to Say But Goodbye
12. Moth

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