Bianco
Guardare Per Aria

2015, INRI
Cantautorato

Recensione di Valerio Cesarini - Pubblicata in data: 06/03/15

E' bianco il rumore che nasce dalla combinazione di tutto ciò che abbiamo concesso di sentire; bianca è la voce dei bambini. E Bianco, stavolta maiuscolo, è anche qualcuno che la musica la crea.
Alla sua terza fatica discografica, l'artista italiano promette la maturità creativa, ma ancora calata nel sogno cantautorale del "Guardare Per Aria", e cioè dell'aspirare all'alto pur essendo nel basso radicati.


L'impronta del disco è chiaramente un pop pulito e leggero, di chiarissimo stampo cantautorale moderno, con punte fra l'indie e i tardi anni '90 di scuola romana: eloquente l'accensione dello stereo, che consegna l'opening "Filo D'Erba", dove un Bianco inusualmente sui bassi toni presenta il disco in un'atmosfera ottimista ma al contempo sognante e melanconica: dichiarativa, chè "è meglio guardare per aria che a terra; dove bucoliche e clichè d'amore si fondono in un brano che sembra rubato dal cassetto di Daniele Silvestri.


Eppure dalla seconda traccia in poi, e per tutto l'ascolto, capiamo che siamo stati ingannati da cotanta sofisticatezza nella traccia 01. L'album evolve infatti verso una canzone d'autore decisamente più moderna e blanda, dello snob che magari è snob ma a Sanremo ci andrebbe: svariati i pezzi dall'atmosfera naif e onirica, dove chitarra e voce la fanno da padrone e il tema è talvolta annegato, talvolta prevedibile. Catapultati nell'infanzia con "Volume", risbattuti sulla cruda realtà di un amore travagliato in "Corri Corri" (duetto con Levante), quest'ultima traccia in particolare risulta il picco più basso del disco, discutibilmente -per carità!- di rado spessore compositivo e concettuale, nonchè emblema anche dei difetti generali dell'album.


Sofisticatezze impertinenti (i "maglioni duri di lana irlandese" non li fa suonare bene neanche Paul Simon), temi semplici da risultare a tratti poco credibili ("Quello Che Non Hai"); e soprattutto, a livello di liriche, un fraseggio opinabile... Che trova perfetto riscontro nella seguente "Drago", fra ritornelli decisamente poco eufonici e concetti il cui bisogno non era così impellente ("la paura è fatta di niente come Dio").

 

Ma Bianco non è un totale sprovveduto e fortunatamente decide di smentire la critica con il pezzo successivo, che sovverte i vizietti prima menzionati, stavolta in nessun modo riscontrabili: "Aeroplano" fonde un testo interessante, di un'acerba maturità cittadina, un ritornello perfettamente incastrato e un'ispirazione alla Venuti o Fabi. Eredità perfettamente confermata dalla presenza dello stesso Niccolò Fabi più in là nel disco, dopo ulteriori passaggi poco esaltanti, con "Le Dimensioni Contano"...Premessa a cui Bianco fa seguire quello che temevamo, e cioè che lui "ha un cuore grande".


Uccellini (sì) chiudono il disco, con "Le Stelle Di Giorno", bramata virata di genere verso un indie/reggae, nel complesso di buona fattura, decisamente orecchiabile, e con l'unica nota di biasimo, se proprio vogliamo maltrattare questo povero torinese, nella parte "io con te un figlio lo farei".


A questo punto il compendio del disco potrebbe sembrare scontato, ma una precisazione andrebbe fatta: lustri di rock hanno elevato canzoni anglofone affascinanti, potenti, carezzanti... Ma i testi, tradotti, a volte risultano davvero imbarazzanti. E allora, direte, perchè insistere tanto su qualche caduta di Bianco, che per lo meno ha provato a inserirsi in un contesto leggermente più complicato dei vari ailoviu?


Questo è, però, un falso problema: è passata l'era dove nessuno capiva cosa si stesse dicendo fuori dai confini, e la regola è: il testo non deve per forza assurgere a poesia o trattato filosofico, ma deve SUONARE bene. L'italiano non condivide con l'inglese l'immediatezza, la sintesi, la brevità e la generale eufonicità, dunque il modo di costruire una lirica deve essere differente, forse -ingiustizia!- più studiato.


Detto ciò, se la musica dove tutto questo viene inserito consta di nove tracce di puro e semplice cantautorato "chitarra e voce", gli alti e bassi non sempre sono permessi. Il disco è certamente piacevole, e anzi mi scuso se finora non è emerso questo aspetto; alcune canzoni sono riuscitissime e intelligenti. Purtroppo in altri momenti si assiste ad una sorta di regressione: per questo esatto motivo rimandiamo il discorso di "disco della maturità" al quarto lavoro, che in ogni caso caldeggiamo e aspettiamo, riconoscendo comunque la poliedricità dell'artista Bianco.





01. Filo d'erba
02. Volume
03. Corri corri
04. Drago
05. Areoplano
06. Almeno a Natale
07. Quello che non hai
08. Le dimensioni contano
09. Le stelle di giorno

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