Capita troppo spesso di dover sentire le massime ingiuste e scorrette secondo cui oggigiorno sono solo band ormai esperte e in età avanzata a portare avanti la bandiera del rock e del metal. Nonostante questi giudizi, quasi sempre affrettati e sommari, negli ultimi anni si sono fatte strada attraverso il difficile panorama musicale odierno diverse band, capaci di farsi notare da label e pubblico. Può capitare a volte che l'estimatore sia una leggenda del genere proposto ed è proprio questo che è accaduto agli Animal Drive, entrati nell'orbita Frontiers grazie all'apprezzamento di Jeff Scott Soto. Occorre però dirlo, questa attenzione è più che meritata. La giovanissima band croata, capitanata da Dino Jelusic è stata fondata nel 2012 e, dopo alcuni anni di gavetta, non si è lasciata scappare l'occasione d'oro registrando e pubblicando "Bite!", album d'esordio di tutto rispetto.
Il lavoro si snoda attraverso classiche sonorità hard rock e melodic metal, mantenendo sempre una grande incisività. I momenti di noia sono infatti ridotti ai minimi termini e, anche nei brani in cui la melodia prende il sopravvento, gli Animal Drive riescono a stupire grazie ad una formula già collaudata in passato, ma proposta in modo ottimale. "Bite!" non presenta certo sconvolgenti novità rispetto a molti dischi hard rock che hanno fatto la fortuna di Whitesnake o altre band simili, ma al giorno d'oggi sono davvero poche le band così giovani in grado di emulare i maestri del passato con tale personalità e raggiungendo questi risultati.
Fin dalla opener "Goddamn Marathon", il lavoro è impregnato da riff abrasivi come l'asfalto e domati con maestria dalla favolosa voce di Jelusic. Il cantante è protagonista in ogni singola traccia dell'album e riesce a dare il meglio di sé sia nei pezzi più tirati che nelle poche ballate. Ne è un chiaro esempio l'emozionante crescendo di "Carry On", guidata dal pianoforte e sostenuta da alti picchi di emozionalità. Quasi tutte le tracce si equivalgono e sono pochissimi i pezzi che abbassano leggermente la media. Tra quelli da ricordare, una notevole sorpresa è "Devil Took My Beer Again", intrisa di un piacevolissimo sapore southern.
A mettere il fiocco a tutti i pregi elencati finora, si aggiunge anche una produzione ottima, che fa risaltare i suoni ruvidi e cattivi di cui il lavoro è impregnato. Fa piacere poter ascoltare un disco del genere composto e suonato da ragazzi così giovani e affamati. I peccati di inesperienza sono pressoché inesistenti e l'album potrà essere divorato da qualsiasi fan del rock o del metal. Forse sembra scontato dirlo, ma è sempre soddisfacente poter ascoltare un nuovo disco dannatamente hard rock, con cui dimenticare per un'oretta i problemi della vita di tutti i giorni.