La caratteristica principale del disco sta nel suo essere eterogeneo e proteiforme non tanto in termini di qualità, quanto nella direzione musicale dei singoli pezzi. Certo, il lotto si poggia sulla ormai familiare struttura progressive adottata dal combo scandinavo da "Quintessence" (2000) in poi: momenti impetuosi alternati a lunghi passaggi contemplativi, melodie malinconiche intrise di folk, sprazzi di black metal in tremolo picking, il ricorso regolare al (doppio) cantato pulito a scapito di aneddotiche harsh vocals, l'attenzione a non scivolare in una teatralità da cartolina.
A differenza, però, degli ultimi LP, nei quali i brani seguivano un indirizzo comune, qui ogni composizione appare facilmente distinguibile l'una dall'altra."Thunderous" apre le danze in maniera diretta prima di prendere un piega articolata e complessa, "Up North" e "Mount Rapture" mostrano una spiccata facies rock anni '70, "The Fire That Burns" arde di reminiscenze nere, "Lights", "Wild Father's Heart", e "Voices" suonano intime e toccanti, "Into The White" e "Tidal" rappresentano il trionfo del prog più epico e sfaccettato. E in un profluvio magmatico di Hammond, archi campionati, cori maestosi e refrain accattivanti, diventa davvero una sfida non lasciarsi ammaliare da un songwriting al tempo stesso lirico e descrittivo, a cui perdonare qualche nota di manierismo dolciastro non costa, in fin dei conti, troppa fatica.
Uno stato di costante meraviglia di fronte a una natura pura, selvaggia, crudele: vale sempre la pena viaggiare in compagnia dei Borknagar nelle terre del "True North", tra picchi ricolmi di neve e panoplie di torrenti ghiacciati. Eppure anche il freddo sublime riesce ad avvertire il calore del cuore.