Coldplay
Ghost Stories

2014, Parlophone
Pop Rock

Il ritorno notturno del guru Chris Martin, dopo l'uragano "Paradise"
Recensione di Nicolò Rizzo - Pubblicata in data: 15/05/14

Strafare, ovvero fare qualcosa che sfugge al proprio controllo. Vi è mai capitato? Che ne so, magari avete provato a scalare una parete di roccia con un amico e siete stati una settimana a letto con i muscoli a brandelli. Che ne so, magari avete speso 500 Euro per un iPad perché “ci puoi fare un sacco di cose” e poi siete finiti per giocare solo ad Angry Birds. Che ne so, magari avete fatto un album che ha segnato un'intera carriera e qualche anno dopo ve ne siete usciti con una raccolta di tormentoni estivi (e non) per ragazzine annoiate. Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale. Eccetto l'ultimo: quelli sono i Colplay. Dopo il successo interplanetario di pubblico e critica di “Viva la Vida”, a Chris Martin è accaduto un po' quello che in Italia è successo a Jovanotti e a Ligabue: è diventato un guru. Un guru è un artista intoccabile, che produce musica con la sicurezza che, indipendentemente dalla qualità, il suo lavoro avrà comunque una risonanza maggiore di quella di qualsiasi altro nome sulla piazza. E “Mylo Xyloto” ce lo ha confermato: cavalcando l''onda del successo (meritato) del precedente album, nel 2011 i Coldplay sono tornati con un disco schiettamente “pop”, che punta sicuramente alla “orecchiabilità” e alla diffusione radiofonica di alcuni singoli anziché alla qualità complessiva del disco. E ovviamente da quel lato si sono dimostrati infallibili: “Every Teardrop is a Waterfall” e (soprattutto) “Paradise” le abbiamo ascoltate (volenti o nolenti) fino al sanguinamento dei condotti uditivi. Oltre a questo però, il passo falso rispetto a “Viva la Vida” è palese, tanto che c'è stato un vero e proprio ricambio generazionale tra le schiere di fan della band, con l'afflusso di moltissime ragazzine indemoniate ed il conseguente abbandono di molti fan storici, che se ne sono tornati tristi tristi nella propria cameretta a riascoltarsi “Parachutes” e “X &Y” (#rottama).


Da buon guru, Chris Martin si è accorto di questa trasformazione, ma, a differenza di molti altri guru, ha deciso di porvi rimedio. Come? Optando per l'unica cosa da fare dopo aver strafatto: tornare sui propri passi. Ed è proprio qui che nasce “Ghost Stories”. Anticipato dai singoli “Midnight”, “Magic” e il più recente “A Sky Full of Stars” (che sta a poco a poco seguendo le orme di “Paradise”) “Ghost Stories” si presenta come un lavoro decisamente più intimo e raffinato rispetto alla scarica di tormentoni in cui si è trasformato “Mylo Xyloto”. Tanto per darvi un'idea, tra quest'ultimo lavoro e “Mylo Xyloto” esiste lo stesso identico dislivello che c'è tra “La Vita Nuova” di Dante e “Amore 14” di... non fatemelo dire. Come preannunciato dai cori celestiali di “Always in my Head”, questo è un disco che, rispetto agli altri, pretende di essere ascoltato con più serietà e con sincera devozione: con loop di chitarra ipnotici e un ritmo scandito principalmente da una batteria elettronica, “Ghost Stories” è un album che si distingue per una composizione musicale volutamente semplice e minimale, nonché per un'atmosfera decisamente più malinconica e dimessa rispetto al lavoro precedente.


Soprattutto, questo è quello che si può definire un “album”: già da un primo ascolto, si capisce la volontà da parte della band di raccontare delle storie che si incastrino tra loro nella più totale armonia. Fatta eccezione per “A Sky Full of Stars” (pezzone radiofonico a metà tra Pitbull e Avicii), tutto l'album si mantiene su un piano uniforme, dove ogni singolo brano diventa uno di quei disegni quasi invisibile che compongono le ali angeliche che compaiono al centro dello splendido e (tanto per non sgarrare) sobrio artwork del disco. Se è vero che alcuni pezzi rimangono più impressi di altri, è però altrettanto vero che non ci sono dei brani che, come accadeva in “Mylo Xyloto”, prevalgono sugli altri fino a soffocarli, creando un vero e proprio viaggio sonoro che scorre fluido e coerente fino alla fine, passando dall'intro anni '80 di “True Love” alla dolce “Oceans”(dove la chitarra acustica la fa da padrona) senza troppi salti sulla sedia o cambi repentini di umore.


“Ghost Stories” è, insomma, un lavoro più che discreto, che riesce nel difficile tentativo di riordinare le carte fatte volare via dall'urgano “Paradise” e di riportare un po' di calma e serenità nella discografia del gruppo con un piccolo ritorno alle origini, che, il più delle volte, è l'unico antidoto allo strafare. Se avete apprezzato il loop magnetico di “Magic” e le tinte boniveriane di “Midnight”, sicuramente non rimarrete delusi da questo nuovo lavoro, che, forse, non costringerà i fan storici a riascoltarsi “Parachutes” per l'ennesima volta. Almeno non prima di arrivare a “A Sky Full Of Stars”.





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