Beck
Colors

2017, Capitol Records
Rock Pop

Un prode cavaliere. Un bivio pericoloso. Due strade, una giusta l'altra sbagliata. Ce l'avrà fatta il nostro eroe a non ripetersi e a creare di nuovo qualcosa di stupefacente?
Recensione di Matteo Poli - Pubblicata in data: 14/10/17

Vuole una leggenda che sia impossibile tornare sui propri passi, prendere un'altra strada e percorrerla bene, anzi meglio della precedente. Strano perchè è esattamente quello che accade in "Colors", l'ultimo attesissimo lavoro di Beck, un artista i cui meriti non sono certo da elencare qui; ricordiamo almeno che fu proprio lui a far uscire il folk country dal suo rigido steccato, circa vent'anni fa, per precipitarlo nel gorgo dell'elettronica e del rock: impresa ritenuta impossibile da molti, eppure... "Mellow Gold" e "Odelay" stanno lì a dimostrarlo. Cosa potevamo aspettarci dopo una carriera strepitosa, praticamente esente da passi falsi e coronata da Grammy? Il cavalier Beck giunge ad un bivio: una strada conduce ad un castello con una leggiadra dama (ovvero, un nuovo incredibile successo), l'altra alla tana del Drago (ovvero, ripetersi stancamente). A fianco ad ogni strada una pietra. Su ogni pietra un folletto. Due folletti: uno dice sempre la verità, l'altro mente sempre. Ma il nostro cavaliere può fare una sola domanda ad uno dei due... L'ultimo album, "Morning Phase" sembrava suggerire che il prode avesse posto la domanda sbagliata e incautamente percorresse la strada della sterile automitologia. Ma il prode in questione è di ben altra caratura.


Ed ecco attraversarci le orecchie un lavoro fresco, ispirato, maturo, superbamente prodotto (c'era da dubitarne?) che si conquista con arroganza e stile uno spazio very reserved nel panorama del pop rock d'autore. A mettere subito le cose in chiaro, la opening nonché title track "Colors" - sbarazzina e seducente - è il manifesto della nuova direzione intrapresa: una tabula rasa del passato, l'irruzione in nuovi territori. Irruzione attentamente predisposta con la sagacia di alcuni azzecati singoli: "Dreams" del 2015 (presente nell'album in due versioni, forse il brano più beckiano in senso classico), il trip hop di "Wow" che evoca un po' i Gorillaz, "Dear Life" e "Up All Night" tra 2016 e 2017. Territori al plurale, perchè, salva la compatezza stilistica del lavoro - è sempre Beck ragazzi, tranquilli - , il musicista ha compiuto la scelta più difficile, cioè intraprendere contemporaneamente più direzioni. Anzitutto, più rock. Per cui via le chitarre acustiche (compaiono solo fuggevolmente in "Dreams" e in "Up All Night", che è una personalissima rivisitazione in chiave pop della dance/disco tra '80 e '90), benvenute le drum machines e i sintetizzatori in gran copia, sempre presente ma meno che in passato il sampling, più spazio agli strumenti, un uso dei cori e delle linee vocali in genere che dire originale è dir poco, e un sound ipercompresso e filtrato (ascoltare "Seventh Heaven", destinata pensiamo a imperversare in radio nel prossimo futuro, che sembra un reperto fortunosamente scampato alla fine degli anni '70 - zona Fleetwood Mac - e ritrovato in un cassetto) a cui l'autore di "Sea Change" non ci aveva preparato. "I'm So Free", dall'aria deliziosamente svagata, affonda come non mai in crassi suoni di chitarra che flirtano col rock. Certo, in qualche modo "Midnight Voltures" sta lì ad osservarci sornione, ma qui il tiro è decisamente spostato. Si potrebbe dire che Beck ha deciso di graffiare di più, ma ricordandoci ogni momento che leggerezza non è sinonimo di banalità.

 

Anche l'attitudine del cantato, dicevamo, è decisamente più muscolare dei toni sognanti degli ultimi lavori: un disco non meditativo e intimista ma teso e ben rivolto al fuori, tanto che ci chiediamo come mai l'artista non ne abbia anticipato la pubblicazione all'estate, essendo un lavoro che ha ben poco di autunnale. "Dear Life" è un gioiellino pop che si permette qua e là fughe psichedeliche e beatlesiane, tra un esile pianino da saloon e il picking di chitarra: poche cose al posto giusto, di più sarebbe troppo. "No Distraction" è una mongolfiera sospesa tra Police, Clash e Talkin Heads; inutile elencare: ogni singola traccia ha il suono che deve avere ed occupa il posto che deve occupare. A fronte di un gusto esplorativo negli arrangiamenti, ciò che assicura unità stilistica al lavoro è la qualità del songwriting: se dovessimo azzardare, diremmo che Beck ha evitato la secca dell'autoripetersi immergendo panni del XXesimo secolo nel sound di band più giovani (Minus The Bear, Foster The People), traendone una quintessenza su misura per sé. Il sound è frutto di un lungo lavoro, come lo stesso Beck racconta in un'intervista; l'album è stato inciso a Los Angeles negli Studios di Greg Kurstin, produttore dell'album (Liam Gallagher, Foo Fighters, Tegan & Sara).Verso la fine del disco arriva l'unica e bellissima ballad (a fronte delle molte ballad o pseudo tali del disco precedente), "Fix Me" in vago odore di Sting ma al 100% in Beck-style; è proprio l'unica carezza in un album che solletica e pulsa come non accadeva da "Midnight Volture". L'artista inserisce nel suo stile massicce immissioni di elettronica fine '80 inizio '90 filtrata dal suo gusto e dalla sua ironia - rara in questo XXI secolo che si prende maledettamente sul serio - , rivisita e corregge a modo suo, salta a piè pari i primi Duemila e ci proietta nel futuro. Strategia che ben conosciamo: Beck è in grado, come pochi altri in passato di sorprendere e deliziare il suo pubblico con continue inversioni di rotta.

 

Come tutti sanno - infatti - c'è un'unica domanda possibile da porre ai folletti per arrivare al castello e salvare la dama dal Drago: se lo chiedessi all'altro folletto che strada mi direbbe? Indifferente chiederlo a uno o all'altro. In entrambi i casi occorre fare l'opposto. Come fa lo scaltro, talentuoso Beck, che continua a sorprenderci senza sbagliare un colpo.





01. Colors
02. Seventh Heaven
03. I'm So Free
04. Dear Life
05. No Distraction
06. Dreams (Colors Mix)
07. Wow
08. Up All Night
09. Square One
10. Fix Me
11. Dreams

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