Converge
Jane Doe

2001, Equal Vision
Hardcore

Semplicemente il capolavoro dei Converge
Recensione di Lorenzo Zingaretti - Pubblicata in data: 05/09/14

"Ma dai, non si capisce niente...si può mica cantare così? Il tizio al microfono sta male? Poi le canzoni sembrano tutte uguali, faccio fatica a distinguere un pezzo dall'altro! Senza parole, davvero, i musicisti pare che stiano suonando a caso quei poveri strumenti..."

Ecco, questa avrebbe potuto benissimo essere la mia reazione se avessi ascoltato nel 2001 i Converge, e nello specifico quello che è ritenuto il loro masterpiece, “Jane Doe”. All'epoca ero sul finire dell'adolescenza e mi dilettavo a suon di nu metal e punk rock, senza quasi trascendere i limiti della musica più pesante. Se invece mi chiedete un parere odierno sul disco che mi appresto a recensire, beh, posso tranquillamente ammettere – senza pensarci più di tanto – che si tratta di uno dei primi dieci album della mia collezione. Ma che dico dieci, facciamo cinque. Ma che dico “della mia collezione”, facciamo della storia della musica hard n' heavy.

Non nego che la prima volta coi Converge sia stata comunque dura da digerire: ricordo ancora di aver comprato “Petitioning The Empty Sky” durante una vacanza a Corfù nel 2009, forse perché dopo una settimana non ne potevo più della discutibile proposta musicale dei locali dell'isola greca. Avevo sempre sentito parlare di questo gruppo, considerato tra i padri dell'hardcore moderno, ma fin lì ero sempre stato restio a concedergli l'opportunità di entrare nel mio stereo. Tornato a casa mi sono buttato a capofitto sull'ascolto del disco e sono rimasto ovviamente spiazzato: appena premuto il tasto play il combo del Massachusetts ha iniziato a prendermi a schiaffi e mi ha lasciato giusto un po' confuso. Dopo altri ascolti ho cominciato ad entrare nell'ottica della musica dei Converge, ho allargato la discografia e sono approdato finalmente a “Jane Doe”, all'unanimità il loro miglior lavoro.

E anche in questo caso è stata una faticaccia riuscire ad apprezzarlo fino in fondo; ho dovuto attendere la classica scintilla, ma una volta arrivata non è stato possibile tornare indietro. La doppietta “Concubine/Fault and Fracture” butta giù i muri di cemento armato, dopo un inizio scherzoso con una chitarra dal suono appena sporco: da qui in avanti i ragazzi di Salem sfiorano i limiti del grind e condiscono il tutto con il classico riff-e-rama quasi slayerano. Non c'è neanche bisogno di dirlo, ma la prova agli strumenti del trio formato da Ballou (chitarra), Newton (basso) e Koller (batteria) è micidiale e velocità, potenza, distruzione dei padiglioni auricolari sono a portata di orecchi. Ma senza la prova di Bannon dietro al microfono non si parlerebbe di Converge: il frontman sputa tutta la sua anima, si sgretola le corde vocali (“Phoenix in Flames” è clamorosa da questo punto di vista), rende quasi incomprensibili i testi ma nel contesto creato dai suoi compagni riesce a trasmettere così tante emozioni che vien voglia di lanciarsi in un abbraccio transoceanico virtuale.

Sì, perché la forza di “Jane Doe” non si esaurisce nella musica. Nonostante come detto i testi siano appena appena difficili da capire (eufemismo), se si segue il disco con il booklet – o con lo schermo del PC, ve lo concedo – davanti l'esperienza si completa. L'ascolto diventa un viaggio nelle pene sentimentali di chi ci parla, o urla, se vogliamo essere più precisi; un attacco senza riserve a una donna (la Jane Doe del titolo, nome usato in America per indicare una persona anonima) che ha sedotto ed abbandonato il suo compagno, un concept a proposito di una storia d'amore andata a finire male. Sono così esemplificative le fratture, le distanze (“Distance and Meaning”), le promesse non mantenute (“The Broken Vow”, il cui finale è per chi scrive il momento più alto dell'intero lavoro, con quel “I'll take my love to the grave” ripetuto fino allo stremo), fino alla presa di coscienza finale. La title track infatti merita un discorso a parte, perché in un disco hardcore di 45 primi e 22 secondi rappresenta un quarto di tutto il minutaggio: c'è tutto il mondo Converge qui dentro, dall'aggressione alle pause di riflessione dal sapore post- passando per le sporadiche e malatissime melodie, fino al crescendo conclusivo con strati di riff che si sovrappongono e la voce che recita lo storico “Run on girl, run on”. Quando musica e parole si fondono in un risultato del genere c'è solo da prendere atto della fortuna che abbiamo a possedere un apparato uditivo funzionante e far girare sul piatto un disco del genere.

Lo ammetto, non ho davvero nulla da aggiungere. Magari vi aspettavate una recensione più esaustiva, che analizzasse fino al millimetro tutte le sfaccettature di ogni singolo pezzo, ma non credo sia l'approccio più adatto di fronte ad un album del genere, di quelli che lasciano davvero senza parole.



01.Concubine

02.Fault and Fracture

03.Distance and Meaning

04.Hell to Pay

05.Homewrecker

06.The Broken Vow

07.Bitter and Then Some

08.Heaven in Her Arms

09.Phoenix in Flight

10.Phoenix in Flames

11.Thaw

12.Jane Doe

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