Son passati tre anni dalla prima volta che ci siamo preoccupati per lei, e i demoni paiono proprio non aver abbandonato la dolcissima Tonra, i suoi tristissimi versi, la sua mesta musica. Anzi, i Daughter s'allontanano ulteriormente dalla dimensione "borderline" di "If You Leave", da quel cantilenare depresso e sconfitto ma ancora disperatamente abbarbicato a qualche epifanica consapevolezza del mondo reale, che si trattasse della gioventù o del sesso.
"Not To Disappear" invece affonda nell'angoscia, nell'indeterminazione, nell'orrore del non aver appigli. Costruendo, testualmente, un mondo di solitudine: un passato, un presente ("To Belong", stanca ed esasperata lite con una persona che non c'è), e addirittura un futuro ("Doing The Right Thing", dove una maldestra immaginazione si spinge a vivere un avvenire con il teleschermo come unico contatto umano). E abbandonando, musicalmente, quella concretezza fornita dai residui di indie folk che facevano capolino nell'esordio, addentrandosi in meandri di sonnolento torpore dream pop. Perdendosi, vestendosi di sole impalpabili e bisbigliate atmosfere in interminabili e coraggiose pause.
Chissà come mai, però, tutte le forme d'arte che nascono da stati d'animo tragici finiscono per essere pervase da un'irresistibile dolcezza: affidarsi ai minuti di "Not To Disappear" ha lo stesso potere cullante del perdersi tra le righe di un romanzo sartriano, quando paradossalmente ci si affeziona all'angoscioso esistenzialismo che rinnega ogni forma di sentimento. Così Elena ci racconta d'essere paralizzata, sulle percussioni e sul flow linguistico orientaleggiante di "Numbers"; ci spiega d'aver perso interesse per qualsiasi cosa nel mondo, nell'inaspettatamente movimentata "No Care"; ci comunica che non c'è più colore nel suo universo, nell'impalbabile ed evocativa "Mothers".
Ma noi, che le stia bene o meno, non possiamo che innamorarci ancora una volta del suo mondo, dei suoi colori, delle sue canzoni.