Daughter
If You Leave

2013, 4AD
Indie Rock

Dolci malinconie e fievoli speranze: le confessioni in musica di un'anima fragile
Recensione di Riccardo Coppola - Pubblicata in data: 27/03/13

Daughter vede la luce nel 2010, come nome d’arte scelto per l’avvio di una carriera solista da parte di Elena Tonra, giovanissima collegiale londinese. Un mezzo espressivo efficacissimo, per l’ancor meno che ventenne artista, per dar voce, timidamente, delicatamente, alle proprie insicurezze e malinconie. Il progetto però smette presto d’essere quello di una ragazza chiusa nella sua cameretta con la sola compagnia di una chitarra acustica, per diventare una band a tutti gli effetti: alla Tonra si aggiungono il compagno di studi Igor Haefeli, chitarrista, e il batterista Remi Aguilella. La band così costituitasi pubblica presto i primi due EP, “His Young Heart” e “The Wild Youth”, cominciando a mostrare un sound elegante e sfaccettato, che nelle iniziali tinte acustiche folk comincia a incorporare aperture ariose parenti delle atmosfere dell’ultimo lavoro di Bon Iver (la bellissima “Switzerland”), ma anche episodiche aggiunte elettroniche che ricordano alla lontana (quando non è già la prestazione al microfono a farlo) quanto fatto dagli XX. Una proposta di rara qualità quella del trio, convincente anche in sede live, che non passa inosservata alla label indipendente 4AD, la quale li mette sotto contratto per la pubblicazione del primo full lenght.
  
L’esordio dei Daughter è un sincero, sentito racconto di una separazione. Una storia chiaramente autobiografica, che non assume, però, mai i connotati di una fredda cronaca redatta a posteriori. I versi di cui sono composti i dieci pezzi del disco sembrano, piuttosto, confessioni istantanee, vergate sulle pagine stropicciate, umide di lacrime, di un diario. Versi che seguono passo dopo passo ogni contraddizione e ogni tormento di un’anima in ambasce, sempre sul punto di annegare fra i flutti di passioni brucianti. Il terrore di perdere chi si ama, chi si è sempre immaginato al proprio fianco. Il dubbio, infido e serpeggiante, di dover dare un taglio netto a una vita paralizzata in una sterile routine, subito sepolto dalla ripetizione dei gesti abituali, a scapito d’ogni malessere.  Il tentativo di stringere i denti e tirare avanti, cercando disperatamente di rammendare strappi sempre più larghi. L’insicurezza, il timore d’aver sbagliato tutto e di non aver capito niente, la voglia irrazionale di non essere mai venuti al mondo. La fine che giunge fulminea e lacerante, inaspettata, dopo aver forzatamente cancellato tutti gli indizi che l’anticipavano. “If You Leave”: un sospiro spezzato, un ultimo appello in un finto presente, in realtà rivolto a un passato che non può tornare. 
 
Il tutto prende vita in strofe dalla forma impeccabile, in un linguaggio ricercato ed elegante. La Tonra sembra ascoltarti prima ancora d’esser ascoltata, con la sua voce dolcissima, toccante. Una voce che suona subito familiare, che ti mette a tuo agio, sembrando quella di una vecchia amica, che sa perfettamente quali corde toccare per emozionarti. Mai sopra le righe le parti strumentali, che svolgono alla perfezione il compito di sottolineare i cambiamenti d’intensità e d’umore del concept, venendo in aiuto a una voce che si mantiene quasi sempre tenue e carezzevole. Mesti arpeggi pizzicati fungono da quasi esclusiva base per le tristissime interrogazioni sul proprio posto nel mondo, cantate in “Smother”, o per le amare, definitive prese di consapevolezza del singolo “Still”. Tra le due spicca la splendida, leggera “Youth”, con i suoi passaggi immediati dal silenzio a brevi, rapide cavalcate guidate da una batteria insistente. C’è spazio anche per episodi dal sound più ‘concreto’, da rintracciare nelle acustiche folkeggianti che accompagnano il crescente desiderio di rinascita di “Human” o le giovani, frivole avventure raccontate in “Amsterdam”. Non mancano, infine, momenti di estrema leggerezza, guidati da chitarre elettriche con visibili influenze post: l’eterea “Tomorrow” vede disperati, rotti sussuri (che toccano il picco di drammaticità in “Don’t bring tomorrow, cause I already know I’ll lose you”) alternati a struggenti echi lontani; la conclusiva, soave “Shallows” sembra finalmente condurre a una conclusione incoraggiante, all’abbandono ad un nuovo amore. E’, infatti, indubbiamente positivo il messaggio convogliato nel finale di “If You Leave”. Una volta giunti alla sua conclusione, il profondo significato dell’album dei Daughter si svela nella sua vera natura: tutte le difficoltà fronteggiate, tutte le paure guardate dritte in faccia, sono in realtà le tappe di un processo di rinascita. Il progressivo accendersi di nuovi, tenui barlumi di speranze. I primi piccoli sprazzi di sole su un mare cupo e freddo. 
 
Il debutto dei Daughter è uno di quei dischi terribilmente difficili da descrivere, se non ci si vuole rifugiare in una parola fin troppo abusata come lo è “capolavoro”. E’ un’opera crepuscolare e sofisticata, pensieri intimi e autentici che si concretizzano in dieci canzoni stilisticamente perfette, nelle quali non c’è posto per la minima imperfezione. Sarebbe un crimine approcciarsi distrattamente e superficialmente a un lavoro di questa caratura. “If You Leave” va ascoltato con dedizione, vissuto, respirato. Solo così può mostrarsi per quello che è: un’esperienza di cui ci si sente fin da subito protagonisti, il compagno perfetto di un pomeriggio piovoso o di una notte insonne.




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