Quando J. M. Barrie, negli ultimi istanti del 1800, si sedette su una panchina di Hyde Park e sognò ad occhi aperti la saga dei bimbi smarriti e del loro paladino volante, non poteva rendersi conto di aver creato un'impresa totale, dalla socialità illimitata, attuale più che mai nell'era moderna forse più di allora. Da sempre l'arte italiana si distingue per originalità e profondità, ma c'è un'età per la scoperta e una per la reale comprensione. La genialità di Bennato fu nell'irriverenza totale e accurata: più di Jannacci, il cantautore simbolo della Napoli nazionale confeziona, nel 1980, il disco dell'anno che è per inerzia un contenuto eterno nella storia della musica.
Non tanto per esprimere di lobby, prepotenze, reazioni, oppressioni e sogni attraverso una favola leggera e visionaria, ma più per sottili metafore, teatralità canora, personificazione in due versi in rima di concetti oggetto di trattati e sermoni, cinematografia strumentale e impeccabile fruizione del termine ‘opera', "Sono Solo Canzonette" è un disco prezioso, da custodire e apprezzare nell'arco di più vite. Ogni frase, ogni parola, ogni singola canzonetta è una bomba a mano di umanità e futurismo. E ironia, riposo, rammarico.
"Mai nessuno mi darà il suo voto per parlare, o per decidere del suo futuro". Dietro alla clausola non credibile "Sono Solo Canzonette", Bennato, nei suoi personaggi e nel personaggio di sé stesso, confeziona un disco che ancora oggi insegna a volare nello stesso vento che spazza i ruoli, i titoli, le poltrone ed eleva alla verità la personalità e la fragilità di chi la seconda stella a destra continuerà a fissarla, fino a toccarla, oltre il mondo delle favole.