Firewind
Immortals

2017, Century Media
Powe Metal

Recensione di Riccardo Marchetti - Pubblicata in data: 20/01/17

Rieccoli finalmente. I Firewind di Gus G riappaiono dopo anni di silenzio, 4 per l'esattezza dall'ultimo "Few Against Many". Ciò che ci salta subito agli occhi è senza dubbio l'assenza del vocalist Apollo Papathanasio, che in realtà aveva lasciato la band nel 2013. Per questa nuova registrazione il microfono dunque è alle dipendenze di Henning Basse, tedesco, classe '76, apparso nel lontano tour dei Gamma Ray di Land of the Free (anni 1995/96) e che ritrovammo poi anche nei Sons of Season (progetto al quale lavorò anche Oliver Palotai dei Kamelot) per i primi due album. Questa la più grande novità in termini di line-up per questa band ormai non più emergente, dato che il progetto facente capo al talentuoso chitarrista greco è ormai all'ottavo capitolo per quanto riguarda i full-lenght.


Come si comporta dunque il gruppo in questa nuova fatica? La voce è senza dubbio particolare, il timbro arso di Henning fa il suo, nonostante non sia equiparabile alle voci simbolo del genere power/heavy di metà anni '90, il cantante dà un contributo discreto, sia per quanto riguarda la tecnica che per ciò che ne concerne l'esecuzione, rendendo il cantato ben riconoscibile. A livello musicale "Immortals" è senza dubbio ben suonato, arrangiato e mixato. Il talento di Gus e l'ormai esperienza assimilata in questi anni sono sotto gli occhi di tutti. I riff sono possenti e gli assoli ben costruiti, senza dubbio il punto di pregio del lavoro. In alcuni tratti possiamo notare una nota decisamente più Heavy emergere attraverso le pedalate Power tipiche della band.


Il lavoro non è esente però da problematiche che salteranno senz'altro all'orecchio dell'ascoltatore: la composizione non è delle più varie, solida si, energica anche, ma si nota anche l'assenza di inventiva, come se l'album dovesse rispondere ad uno schema. Dal punto di vista chitarristico l'album è ben suonato ma appunto non porta novità nella discografia della band, ancorata alla tecnica della chitarra solista, ammaliante ma a tratti troppo centrale all'interno della concezione dei pezzi. L'album scorre via liscio, con energia e velocità, lasciando chi vi presta orecchio soddisfatto, ma non del tutto: abbondano infatti la precisione e l'abilità ma non emergono varietà e l'amalgama tra gli ingredienti. L'incisione dunque si lascia ascoltare, corre via per tutta la sua durata, certo è che un approccio diverso tra una schitarrata e l'altra ne allungherebbe la longevità. Il Talentuosissimo Gus fa un buon lavoro, ma era lecito attendersi di più.





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