Gazpacho
Soyuz

2018, Kscope
Art Rock

Un viaggio ambizioso alla riscoperta delle memorie perdute dell'umanità.
Recensione di Federico Barusolo - Pubblicata in data: 19/05/18

Uno dei ritorni più attesi di questo 2018 nel mondo underground del prog europeo è senz'altro quello dei Gazpacho, che con gli annunci piuttosto ravvicinati della pubblicazione di "Soyuz" e della partecipazione della band all'edizione 2018 della prestigiosa rassegna catalana del Be Prog! My Friend, hanno attirato l'attezione dei fan e non solo. Nonostante i norvegesi non siano di primissimo pelo (si tratta del decimo album in studio per loro), infatti, la lunga collaborazione con l'etichetta discografica Kscope sta portando soprattutto ora una ventata di aria fresca in casa Gazpacho, in termini di nuovo interesse negli appassionati di art rock e di visibilità su palcoscenici di primissimo piano.
Momenti importanti per la storia della band. Momenti, come quelli che Jan Henrik Ohme e compagni hanno deciso di immortalare all'interno di "Soyuz".

 

Il concept del nuovo album è infatti in tutto e per tutto la celebrazione di quelli che sono i momenti. Istanti della nostra limitata vita terrena che, abbandonate le suggestioni di una visione quadridimensionale dell'universo alla Vonnegut (o alla Christopher Nolan, per i meno nostalgici), rimangono imprigionati in una goccia di resina da qualche parte nella memoria collettiva. Andati per sempre eppure tanto vividi.

 

Momenti, per esempio, come quello in cui Vladimir Komarov divenne tristemente un eroe, donando la vita al puro servizio della propria patria e mettendosi al comando di una sonda spaziale con molti difetti e poche speranze di sopravvivenza oltre la nostra atmosfera: il celebre "Soyuz One".
É proprio un pezzo omonimo ad aprire il disco, alla ricerca di quello che è un sound per la verità molto consolidato nella formazione norvegese. Le note della opener richiamano da subito quello stile art rock misto al folclore nordico che fa tesoro di elementi suggestivi quali gli archi e il pianoforte, riportando la mente alle sonorità che circa un decennio fa componevano "Night" (facile è notare la somiglianza con "Dream Of Stone", per esempio).

 

Su uno stampo classico di questo tipo, nel susseguirsi delle tracce si fa strada timida un'aria di rinnovamento che, in un primo momento, si impossessa degli inusuali versi di "Hypomania", un pezzo che rimane ancora molto legato alla tradizione nel ritornello e in generale non ha molto da dire. Diverso è invece il discorso per le successive "Exit Suite", che va maggiormente in cerca di un rinnovamento, portando atmosfere più orientaleggianti in quella che è la propria esplorazione del tema della morte. Questa traccia prende piede sulle note di un rituale funerario buddhista e presenta delle innovazioni di carattere più elettronico nelle ritmiche, mentre "Emperor Bespoke" reintroduce il banjo assieme a quelli che sono elementi più classici, in un omaggio alla figura di Hans Christian Andersen. Un nuovo un collegamento col passato, in questo caso "March Of Ghosts", è presente sul finale, dove il tema - quasi da Carillon - del pianoforte è praticamente identico a quello registrato qualche anno fa in "Gold Star".

 

"Soyuz Out" è invece qualcosa in grado di destare maggiormente l'attenzione. Sulle prime è impossibile non notare - ad esempio nelle tastiere - come i Gazpacho non siano immuni all'influenza trasversale portata da Steven Wilson al prog europeo negli ultimi anni. In seguito, sotto il dominio di un'accattivante linea di basso, ecco uscire elementi interessanti da ogni dove; un uso sapiente dell'elettronica nelle ritmiche abbinata a momenti talvolta atmosferici, talvolta ravvivati dai riff di chitarra, con inaspettati stacchi di stampo puramente jazz sul finale.

 

All'infuori di questo momento, che si allontana maggiormente dalla comfort zone della band norvegese, il complesso del disco risulta leggermente deludente. Il sound si mostra infatti impeccabile e decisamente consolidato dagli anni e questo potrebbe essere un fattore determinante nell'attirare l'attenzione dei nuovi appassionati, ma allo stesso tempo eccessivamente riciclato ad un orecchio più avvezzo al mondo dei Gazpacho. Non che sia di per sé da condannarsi la fedeltà verso un proprio stile ben preciso, ma si ha la sensazione in buona parte della release che la band si sia eccessivamente adagiata sugli alti livelli raggiunti in passato (come sottolineato in precedenza), invece che porre maggiormente l'accento su una sperimentazione che all'interno di questo genere meriterebbe più posto, non solo nella maturazione del concept e della stesura dei testi.

 

Insomma, a volte basta poco a passare per una fresca e deliziosa zuppa di verdure andalusa quella che, a tratti, assomiglia più ad una (seppur comunque buona) minestrina riscaldata.





01. Soyuz One
02. Hypomania
03. Exit Suite
04. Emperor Bespoke
05. Sky Burial
06. Fleeting Things
07. Soyuz Out
08. Rappaccini

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