Insomnium
Shadows Of The Dying Sun

2014, Century Media
Death Metal

Un gelido e ombroso universo di ruvide chitarre e malinconiche carezze
Recensione di Riccardo Coppola - Pubblicata in data: 21/04/14

Giunse "Ephemeral", un'estate fa, e una torma di campanelli d'allarme cominciò a sbatacchiare assordantemente: che gli Insomnium si fossero dark-tranquillizzati? Mesi di terrorizzata ansia hanno così accompagnato i melodeath metallers all'uscita del sesto album della band finlandese, con il solo sciatto, monocorde e banale singolo a far da deprimente antipasto, esponendo con fierezza il suo ordinato catalogo di nauseanti cliché dello stile di Goteborg e zone limitrofe.

Ma a "Shadows Of The Dying Sun", finalmente arrivato con il suo corposo minutaggio e con stormi di corvi in copertina come da trademark, bastano pochi secondi per scacciare qualsiasi radicata perplessità, per relegare l'apripista nel novero dei trascurabili incidenti di percorso. Bastano infatti le prime note di "The Primeval Dark", guerresca e rosseggiante alba su terre selvagge, perché tutte le tessere tornino a posto nel solito, suggestivo mosaico: la teatrale, misurata alternanza tra il viscerale growl di Niilo Sevanen e le carezze clean di Ville Friman; le cavalcate di batteria up-tempo (in un paio di frangenti disposta anche ad abbandonarsi alla bestialità del blast beat) e le chitarre in lieve delay che le inseguono e vi si sovrappongono; gli inserti acustici e i synth a regalare qua e là poetici spaccati di romantica malinconia, tenui barlumi di luce che cullano dolcemente animi sperduti in alte e fittissime foreste metalliche.

E se l'insonne universo resta lo stesso, senza che le sue fondamenta vengano drammaticamente scosse, è vero anche che la tavolozza con cui viene dipinto contempla questa volta uno spettro di tonalità e sfumature mai tanto vasto. Così, se i neri riescono a farsi più impenetrabili che mai nella lunga, violenta e monolitica "Black Heart Rebellion" (che per certi versi sembra un interessante incontro tra taglienti plettrate a la Amon Amarth e distensioni black-viking nello stile dei più recenti Enslaved), un'inedita brillantezza anima il sognante interludio e le strofe del singolo "While We Sleep", il suggestivo intermezzo corale della suite "The River", il morbidissimo ritornello della ballata "Lose To Night" (con ogni probabilità il brano più "soft" mai composto dalla band).

Fermandosi a qualche spanna dal capolavoro "One For Sorrow", "Shadows Of The Dying Sun" (grazie anche all'ottimo guitar work del nuovo chitarrista Markus Vanhala, già degli Omnium Gatherum, e a una produzione che finalmente tiene in considerazione anche le basse frequenze) si distingue per riuscire a suonare come l'album più sfaccettato, granitico e d'impatto di una carriera ormai già discretamente nutrita. E tra le malinconiche tastiere della conclusiva title track, le ombre d'un sole morente lasciano posto, nella notte, al rassicurante, infallibile e inimitabile rifulgere d'uno dei più splendenti astri del death contemporaneo.



Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool