Intronaut
Habitual Levitations (Instilling Words With Tones)

2013, Century Media
Prog Metal

Recensione di Lorenzo Zingaretti - Pubblicata in data: 10/04/13

C'è una parola inglese, musicianship, che spiega in tutto e per tutto l'essenza degli Intronaut, band californiana a cavallo tra post-metal e progressive, giunta da poco al traguardo del quarto album, “Habitual Levitations (Instilling Words With Tones)”. Qualora cercaste il termine anglosassone in un buon dizionario, trovereste definizioni come “musicalità” o “abilità e sensibilità per la musica”, che secondo chi scrive non hanno la stessa forza del vocabolo proveniente dalla terra d'Albione. La musicianship applicata agli Intronaut rende l'idea dell'intesa perfetta raggiunta a livello strumentale dai quattro membri della band, capaci di proporre un sound compatto e diluito come pochi altri gruppi.

Se si volesse poi riassumere questa essenza musicale, basterebbe immaginare una jam session tra i componenti di gruppi come Tool e Mastodon, intenti a progettare qualcosa che ricordi vagamente gli Isis. Visto il calibro dei nomi chiamati in causa – siamo nell'olimpo del genere, e non solo, considerando gli autori di “Lateralus” – si potrebbe pensare ad “Habitual Levitations” come ad un capolavoro assoluto; eppure si tratta solo di un buonissimo disco. Perché sono così critico? Al di là, come detto, dell'aspetto strumentale dell'album, che raggiunge l'eccellenza grazie soprattutto al lavoro della sessione ritmica (il basso in particolare è incredibile, specie pensando al ruolo sempre più marginale dello strumento nel metal moderno...), o in momenti come il finale di “The welding”, è il cantato a non convincere del tutto.

Come i già citati Mastodon, o gli altri attuali padroni della scena post- che rispondono al nome Baroness, gli Intronaut hanno deciso di completare del tutto il passaggio verso le clean vocals. Il problema è che la voce di Sacha Dunable, di matrice fortemente grunge anni '90 (ma niente illusioni: la sua prova non si avvicina nemmeno di striscio alla bellezza commovente di quanto fatto da cantanti del calibro di Cornell, Vedder e Staley!), non convince del tutto. In certi tratti del disco infatti sarebbe stato preferibile l'utilizzo dell'ormai accantonato growl, per dare più potenza alle parti ancora legate al post-metal. Per il resto, tra derive progressive, passaggi tribali ed episodi ai limiti del jazz, rimane molto piacevole ascoltare “Habitual Levitations”, anche se a tratti si ha la sensazione che il gruppo forzi un po' la mano, esagerando nel cercare la chiosa strumentale ai pezzi (per esempio i finali dell'accoppiata “Milk Leg” - “Harmonomicon”, piuttosto ridondanti).

Insomma, il disco offre senza ombra di dubbio pane per i denti di chi mastica musica prog e post-, ma come detto lascia un po' l'amaro in bocca, più che altro pensando a quello che sarebbe potuto essere con alcuni accorgimenti del caso. Gli Intronaut restano ad un passo dalla consacrazione finale, quella che li proietterebbe nell'olimpo del genere...ma, un po' come quei calciatori troppo fantasiosi e poco concreti, preferiscono “guardarsi allo specchio” invece di affondare il colpo come si deve, e realizzare il gol decisivo.



01.Killing Birds With Stones

02.The Welding

03.Steps

04.Sore Sight For Eyes

05.Milk Leg

06.Harmonomicon

07.Eventual

08.Blood From A Stone

09.The Way Down

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