Leonard Cohen
You Want It Darker

2016, Columbia Records
Folk Rock, Cantautorale

Il dolce e amaro commiato del cantautore più romantico del nostro secolo: Leonard Cohen e il suo testamento You Want It Darker
Recensione di Sara Picardi - Pubblicata in data: 26/12/16

Il 2016 è stato identificato da molti come l'anno del lutto per la musica rock, ma è stato anche l'anno in cui Bob Dylan ha vinto il Nobel per la letteratura e ha quindi profanato finalmente il dogma secondo cui un testo musicale non può avere la stessa dignità concessa alla poesia. E' paradossale che questo traguardo, non solo per Dylan, ma per tutti i cantautori, sia stato raggiunto nello stesso periodo della morte di Leonard Cohen, che fu definito nel 1961 il miglior giovane poeta canadese, e che iniziò la propria carriera prima come scrittore e poi come musicista.

 

Per amare e comprendere Cohen è necessario addentrarsi nella conoscenza del suo stile, delicato e cupo, nelle vesti di poeta oltre il musicista. L'intera produzione musicale dell'autore di Hallelujah è contraddistinta da sentimenti di base densi ed ombrosi, che si rispecchiano perfettamente nella sua voce baritonale; i testi sono fitti, scuri e malinconici e sembrano sottintendere la ricerca disperata di una consolazione che, probabilmente, non verrà mai raggiunta.


Il quattordicesimo lavoro di Cohen, "You Want It Darker", pubblicato nell'ottobre del 2016 alza, come promesso dal titolo, la posta in gioco con un'atmosfera ancora più lugubre ed intensa del solito. Nella prima traccia, intitolata come il disco, le sonorità riescono ad essere contemporaneamente arcaiche (i cori sono quelli dei cantori della sinagoga di Montreal che frequentava da bambino) e moderne (la batteria sembra campionata), e Leonard Cohen dichiara profeticamente di essere pronto ad essere accolto dal Signore: morirà effettivamente pochi giorni dopo la pubblicazione del disco.


Come accaduto qualche mese fa con il pluri-acclamato "Blackstar" di David Bowie, impossibile non leggere l'ultimo disco di Cohen come un testamento artistico. Un lascito che contiene presagi di morte ("Sto lasciando il tavolo / Sono fuori dal gioco" ammette nella splendida "Leaving the table"), parole di disillusione ma anche di liberazione ("We sold ourselves for love but now we're free", canta in "Treaty"), parole di rimpianto come in "It seemed the better way", ma soprattutto, delicate dediche sentimentali come in "If I didn't have your love", in cui la perdita della persona amata viene paragonata alla scomparsa della luce solare, che porta una notte fredda ed eterna senza più emozioni. Tragico collegamento, pochi mesi prima della pubblicazione del disco l'anziano cantante aveva saputo della morte di uno dei suoi grandi amori di gioventù, a cui in passato aveva dedicato la splendida canzone "So Long Marianne".


In senso strettamente musicale quello che colpisce è che i suoni dell'album sono molto personali, e quindi vicini ai lavori precedenti, ma anche freschi e moderni; forse la presenza tra i produttori di Adam Cohen, il figlio di Leonard, ha contribuito a conferire un tono più odierno agli arrangiamenti. Il disco abbonda di riferimenti biblici, lampanti ad esempio nella traccia "Steer Your Way". Benchè il cantautore canadese non si sia mai definito un uomo religioso nel senso classico del termine, infatti, ha ammesso di aver assimilato un certo tipo di linguaggio e di retorica simbolica dalla Bibbia. E simbolico e cinematografico, come un'uscita di scena su pellicola, l'album si chiude: l'ultima traccia del disco è affidata quasi completamente alla musica con la dolce reprise del secondo brano "Treaty".

 

Tanti anni fa, in "Hey, That's No Way To Say Goodbye", quella che è forse la sua canzone più bella, il musicista "rimproverava" ad un amore perduto di essersene andato senza dire addio nel modo giusto. Si tratta di una provocazione che può cogliere solo chi conosce profondamente i sentimenti di perdita; nessun modo può sembrarci quello giusto se dobbiamo dire addio a qualcuno che amiamo. Sembra che lo stesso Leonard Cohen se ne sia andato in modo inopportuno, portando via con sé qualcosa di troppo prezioso. E nonostante la sua identità artistica fosse legata così strettamente alle parole, sono poche quelle che pronuncerà per la chiusura del disco e di una carriera quarantennale, parole di amore che illuminano delicatamente il crepuscolare senso di incombenza che pervade "You Want It Darker".





01. You Want It Darker
02. Treaty
03. On the Level
04. Leaving the Table
05. If I Didn't Have Your Love
06. Traveling Light
07. It Seemed the Better Way
08. Steer Your Way
09. String Reprise / Treaty

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