Dopo un primo album votato al neosabbathismo e un secondo decisamente meno esoterico, la strada intrapresa dai Lucifer nel terzo capitolo non sarebbe stata di ardua decifrazione. Diventata a tutti gli effetti un quintetto, con l'inclusione a tempo pieno di Martin Nordin e l'arrivo dei nuovi membri Linus Björklund e Harald Göthblad, la band, in "Lucifer III", guarda ancora una volta all'hard rock dei Seventies, "sporcato" ad hoc di qualche rigagnolo stoner/doom in onore dell'affascinante esordio omonimo. Il disco, dunque, registrato ancora una volta nello studio di Nicke Andersson a Stoccolma e che mostra in bella vista un pugno di brani godibili al pari di instant bestsellers, rappresenta, a tutti gli effetti, un sequel plasmato sulla falsariga dello scorso lavoro.
L'anima del progetto, Johanna Sadonis, non nasconde, as usual, la passione sconfinata per tutti quei gruppi che scrissero la storia dell'hard'n'heavy, compresi numerosi act di seconda fascia (Buffalo, Jeronimo, Yesterday's Children). I pezzi, pur vivendo in superficie di quel clima sospeso tra l'arcano e lo psichedelico che rese eccezionale parte della produzione musicale degli anni ‘70, suonano ancora più morbidi e accattivanti rispetto allo scorso LP, ma anche, purtroppo, più "scolastici": strutture snelle, tanto groove, ritornelli radiofonici, flanger e wah wah a rotta di collo, strategici tocchi d'organo, uno strato vintage e ronzante spalmato sull'intera scaletta.
Nascono così pezzi dell'appeal di "Ghosts", "Midnight Phantom", "Pacific Blue", arpeggiati, dal taglio bluesy, un pò Jet, un po' Kadavar, con il carisma della frontwoman udibile soltanto a tratti e alcuni cori à la Hellacopters pronti all'occorrenza. Convinto pollice in alto, invece, per la matrice oscura di "Coffin Fever" e "Flanked By Snakes": il resto appartiene al canovaccio che di occulto ha poco se non forse la mise en place, come testimonia il belato caprino posto all'inizio di "Lucifer". Di maniera.