Lykke Li
I Never Learn

2014, Atlantic/Warner
Indie

La cantautrice svedese torna con la sua opera più intima ed emozionante
Recensione di Alberto Battaglia - Pubblicata in data: 28/05/14

La barriera invisibile che separa l'arte da coloro che la guardano, qualche fortunata volta, sembra non esistere nemmeno. E' quello che accade quando la connessione fra noi e l'autore appare immediata ed inspiegabile; è quello che accade anche qui, quando prestiamo ascolto alle prime note di “I Never Learn”. L'intimismo di quest'opera occupa lo spazio di una cameretta, ma ha i confini di una cattedrale.


La giovane cantautrice svedese Lykke Li (che tutti purtroppo conoscono soprattutto per l'odioso remix di “I Follow Rivers”) ha convertito il suo linguaggio da eccentrico e variopinto a crepuscolare e sublime. La presenza vocale della svedese è sempre al centro della scena, ma i vari strumenti non sono affatto semplici comparse di accompagnamento: attorno alla voce viene composta di volta in volta un'armonia che rende anche le più semplici melodie una vera sinfonia corale.

 

Lykke Li ha compiuto nell'arco di questa semplice mezz'ora un piccolo miracolo di naturalezza di scrittura unita ad una mirabile scelta minimalista d'arrangiamento: non ha costruito “canzoni” intorno a un'idea, ma si è limitata a inciderne una versione nuda, espansa solo di quel poco che serviva per rafforzarne la forza. Per questo un orecchio disattento potrebbe trovare in questa scaletta una certa mancanza di varietà: in effetti la cantante è sempre protesa drammaticamente ad occupare la scena come una primadonna, le percussioni sono quasi sempre discrete e regolari, non ci sono brusche discontinuità tra ritornelli, strofe o ponti. Ma quello che si perde abbandonando queste convenzioni è veramente insignificante quando apprendiamo quello che potenzialmente si può fare con la musica leggera, senza abbandonare la melodia, ma solo cambiando l'approccio con cui la si trasmette al pubblico.

 

L'apertura affidata alla title-track ne è fin da subito uno dei migliori esempi: l'introduzione affidata alle chitarre acustiche abbraccia una melodia sospesa nel vuoto (mancano infatti bassi e percussioni) seguita da un violino che conduce i sensi in una dimensione superiore. Oppure, poco più avanti “Just Like a Dream” ripete la medesima grazia scandendo un ritornello immerso di suoni eterei e di illusioni. Ma forse è proprio la conclusiva “Sleeping Alone” il coronamento musicale di questa storia d'amore ormai finita che Lykke Li evoca in ogni brano: la desolazione di dormire da soli dopo molto tempo turbata da illusorie aspettative di ritorno della persona amata, vengono riprodotte con gli scarni accordi in minore di un pianoforte, mentre uno scorcio di speranza suona assieme a quel “We'll meet again” che spegne senza troppa convinzione questo flusso di coscienza.


La cantautrice svedese ha dimostrato di saper trattare anche il più ricorrente dei temi amorosi con la forza espressiva necessaria per conquistare ancora i sensi, per oltrepassare quel confine che separa una semplice canzone dall'essere un vero messaggio diretto a qualcuno, per quanto sia condiviso col mondo. “I Never Learn” va ascoltato e lasciato entrare; non va capito. Nelle emozioni, del resto, non c'è mai stato molto da capire.





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