Un po' Slipknot dei tempi dell'album omonimo e di "Iowa" - l'opener "Zero" ricorda un po' "Disasterpiece" - un po' In This Moment e un po', beh, Otep punto e basta, "Generation Doom" procede spedito su una strada palesemente ispirata dal film "Mad Max Fury Road" uscito la scorsa primavera. Sia l'artwork - diciamocelo, è palesemente Otep Shamaya nelle vesti di Imperator Furiosa con i capelli più lunghi - che i temi abbastanza apocalittici e generalmente disfattisti danno l'input per un disco cupo ma allo stesso tempo energico e pieno di sfumature. Qui l'artwork così ispirato all'ultima incarnazione di Mad Max giunge in nostro aiuto per descrivere la vibe generale del disco. "Generation Doom" non racconta belle storie, per niente, e grazie alla casa discografica per aver, per una volta, inserito i testi nel promozionale. Parla di nichilismo, avvilimento dell'anima, dell'eccessivo consumismo che attanaglia la civiltà occidentale e il tentativo di uscirne, di elevarsi dalla massa, per non parlare degli accenni all'economia di guerra a cui praticamente ormai il mondo gira attorno. Anche la decisione di inserire una cover di "Royals" di Lorde si incastra perfettamente nei temi affrontati da "Generation Doom", benchè come arrangiamento somigli un po' troppo a "This Is The New Shit" di Marylin Manson. E la title track lo rappresenta pienamente. Spietata nelle ritmiche e nei riff, crudele nei testi, come canzone si sobbarca da sola il compito di portare avanti tutte le tematiche affrontate dalle canzoni precedenti - è tra le ultime posizioni in tracklist - e lo fa in maniera egregia.
E quindi tutto il preambolo iniziale sul fatto che i dischi degli Otep potrebbero essere definiti "strani"? Più che "strani" si dovrebbe definirli complessi ma allo stesso tempo diretti come un incidente in macchina. Colpiscono di primo impatto, come appunto un incidente automobilistico improvviso, poi più vai avanti e li ascolti più volte - facciamo notare che questo disco ha subito numerosi ascolti prima di essere recensito - più ci trovi dettagli e sfaccettature che all'inizio non avevi notato.
"Generation Doom" in questo modo si presenta come un disco complicato per chi non conosce il metodo della band di comporre e proporre la propria musica, la poetica che c'è dietro, ma per chi invece è abbastanza avvezzo al modo di lavorare della Shamaya e dei musicisti che la accompagnano, avrà per le mani un disco da ascoltar e riascoltare e apprezzare sempre di più ogni volta. Ben bilanciato, ben scritto, ben mixato, c'è tutto. Anche il momento di sedersi un attimo e ripensare quanto ci si è lasciato alle spalle con la più contemplativa e quasi onirica canzone di chiusura "On The Shore".
Ottimo lavoro. Deciso e incisivo, una ventata di aria fresca per quella frangia di metal alternativo che si rifà al nu che ormai aveva raggiunto stati di avvizzimento non indifferenti.