“Here we go, are you ready to rock n’ roll?” Così parte Pat Travers, tuffandosi in una impetuosa “Rock And Roll Suzie” d’apertura, e immediatamente ti rendi conto (ti ricordi) che per quanto certi artisti possano fare grandi cose su disco, sarà sempre la dimensione live a tirare fuori il meglio della loro musica. Della loro arte. “Live at The Iridium” fotografa infatti un’eccellente prestazione, fresca della sempre ferrea attitudine a cavallo tra Thin Lizzy e ZZ Top del frontman/chitarrista canadese. Si tratta di un monumento targato Frontiers Records alla sua figura mai troppo osannata, estrapolato dal meglio dei due show di tre anni fa tenuti in quel dell’Iridium Club nella Grande Mela, piccolo jazz club famoso per le settimanali esibizioni di Les Paul e per l’ottima resa sonora, tanto da essere definito dallo stesso Pat “estremamente funzionale allo scopo”. L’ascoltatore ha così la facoltà di poter ascoltare fedelmente nei minimi particolari un concerto carico e ben riuscito in tutti i suoi aspetti, perfettamente registrato e perciò godibile sia nei pezzi più incandescenti che in quelli più d’atmosfera. Anzi, ha la possibilità di fare molto di più: può chiudere gli occhi e, cuffie nelle orecchie, immergersi in quella densa coltre di fumo fatta di talento e storia che si respirava in quei giorni al 1650 di Broadway e la 51esima Strada, e di potersi lasciare trasportare dai classici di Pat ottimamente riprodotti (su tutte, superlativa “Gettin’ Betta”), scelti tra passato e presente, e alcune rivisitazioni di classici altrui, tra cui l’infernale “If I Had Possession Over Judgment Day” e “Spoonful” con Jon Paris in qualità di illustre ospite, “I’ve Got News For You” dal blues più eterno di Ray Charles e una magica “Lone Wolf” miscelata con “Red House” di Mr. Hendrix. Ai fans di lunga data magari verrà da chiedersi dove siano finite “Boom Boom (Out Go the Lights)” e “Snortin’ Whiskey”, cavalli di battaglia da sempre, ma poi immagino che anche il palato più viziato venga soddisfatto dalla gemma “I La La La Love You”, direttamente da “Black Pearl” (1982).
Pat di sicuro non è più un giovincello e la sua voce cede lievemente dinnanzi al tiranno passare del tempo .. ma come ben dimostra anche l’ultimo (e ottimo) album “Can Do” (2013), continua in modo rilassato a suonare con anima e cuore, come solo un’icona può fare, come se fosse un’altra di quelle storiche jam di Les Paul, regalando soli curati e ben dosati, e lasciando allo stesso tempo ampio spazio ai musicisti che ha intorno, assolutamente degni di nota anche loro, da Kirk McKim (che sostituisce davvero egregiamente lo storico Pat Thrall) alla base ritmica del bassista Rodney O’Quinn e dell’esplosivo drummer Sandy Gennaro, il migliore in campo. In fin dei conti, molti dei pezzi suonati erano già presenti negli ultimi live “Stick With What You Know-Live In Europe” (2007) e “Live At The Bamboo Room”(2013). Non mi stupirei dunque se molti miei colleghi etichetteranno il disco in questione come un “ennesimo live”. Io preferisco giudicarlo a sé stante, e di conseguenza non posso che ribadire l’eccellenza musicale racchiusa in questo grande album che, in effetti a pensarci bene, ricade in una categoria “ennesima”.. è di fatto la milionesima dimostrazione del motivo per cui spesso e volentieri, parlando di grandi musicisti, il nome di Pat Travers è posto allo stesso livello di quello di leggende come Gary Moore o Stevie Ray Vaughan.
