Paul Gilbert
Stone Pushing Uphill Man

2014, Shrapnel Records
Rock

Recensione di Valerio Cesarini - Pubblicata in data: 23/09/14

"Stone Pushing Uphill Man" è il nuovo album di una vecchia conoscenza degli amanti dei guitar hero, dell'hard rock classico e dell'eccesso: Paul Gilbert torna alla carica due anni dopo l'ultimo lavoro ("Vibrato"). Gilbert ha sempre fatto della cover un elemento portante della sua musica, e in questo album ce ne sono ben 8 su 11. Umiltà? Non solo: lo scopo di tutto ciò è comunque quello di comunicare all'ascoltatore il nuovo approccio del chitarrista, improntato sulla capacità di rendere ogni aspetto di una canzone con la chitarra, dalla linea vocale in tutte le sue sfumature, all'arrangiamento generale -questo è da una parte lodevole, dall'altra risulta oggettivamente noioso alle lunghe.


L'opening track è, dunque, una cover dei Loverboy, "Working For The Weekend", seguita da un pezzo degli Aerosmith, "Back In The Saddle". L'approccio di Gilbert è allo stesso tempo semplice e raffinato: la struttura e il genere delle cover si attestano su un hard rock/blues piuttosto genuino, con un fraseggio ottimo come sempre ma una proposta generale abbastanza semplice, con pochi cambiamenti di sorta al pezzo. Il terzo brano è già più interessante; è una cover di James Brown con "I Got The Feelin'", ma decisamente differente dall'originale: partendo dal soul/funk Gilbert velocizza (in tutti i sensi!) il brano, donandogli un carattere più goliardico, spostandolo su un rock blues piuttosto catchy e infarcendolo con le frasi shred per cui è famoso. Interessante è anche il pezzo successivo, "Goodbye Yellow Brick Road" (Elton John): la resa di Gilbert corrisponde praticamente a ciò che Satriani avrebbe fatto del brano. In questo senso, l'influenza di Satch o comunque una certa tendenza alla citazione stilistica è molto presente in "Stone Pushing Uphill Man".


Si passa ad una cover di un pezzo "da intenditori" dei Beatles ("Why Don't We Do It In The Road"), nella quale è da segnalare l'ottima riuscita di una chitarra che "ricalchi l'approccio vocale del cantante originario" (parole dell'artista): si può dire che qui Gilbert abbia perfettamente emulato McCartney. E' venuto il momento di parlare dei pezzi originali: si parte da "Shock Absorber", che apre con la voce di Gilbert che ci dice che trattasi della "roba" più importante che ascolteremo nella nostra vita. A livello di inedito, questo pezzo mantiene il carattere di rock/fusion dai toni allegri e goliardici, figli di Zappa e fratelli degli Aristocrats, di "Vibrato". Fraseggi blues raffinati e riff ottavati la fanno da padrone; tutto sommato è un buon pezzo, anche se non è assolutamente niente di rivoluzionario. Andando oltre, "Purple Without All The Red" è stato definito dallo stesso Gilbert come un blues jazzato con accordi "strani" (affermazione che trova un riscontro solo parziale). Si tratta comunque di un pezzo abbastanza interessante, un buon momento di relax dal rock che ha accompagnato l'ascolto finora... in ogni caso, non molto di più di un intermezzo probabilmente risultato di una composizione piuttosto rapida, vista anche la durata molto esigua (2.02). Le altre cover sono "Murder By Numbers" dei Police (la quale secondo l'opinione di chi scrive non si presta molto alla sostituzione della traccia vocale con la chitarra), "My Girl" di Eric Carmen (anch'essa in stile Satriani) e la ballad Wash Me Clean di K.D. Lang. Chiude l'album la titletrack, unico pezzo cantato - la voce di Gilbert non è mai stata nulla di speciale, ma le linee sono semplici e non sfigura. Si apre come un blues di altri tempi, chitarra acustica alla mano, prima di mischiare il solito rock con sprazzi "out" che ha accompagnato tutto l'album e chiudersi con un assolo di qualità.


A livello sonoro, Gilbert mantiene il suono di "Vibrato", caratterizzato da un tono molto grosso, alla lunga poco originale; da segnalare il ritorno (quasi) fisso agli humbucker sulla sua Fireman. Il fraseggio, come già da "Vibrato", ha perso molto della componente shred schematica, anche se ci sono diversi momenti molto tecnici e veloci, inseriti però in una cornice più sanguigna, più improntata verso un blues espressivo e molto influenzato dal jazz. Figurano alla batteria Mike Portnoy, anch'esso amante del rock classico, e Kenny Aronoff, che ha suonato con un numero impressionante di mostri sacri del rock, da Elton John a Johnny Cash passando per gli Styx.
Il problema di quest'album dunque non è lo spessore musicale, mai messo in discussione, quanto piuttosto il vero e proprio contenuto: molte delle cover sono semplici revisioni lineari, che possono andar bene se in numero esiguo; i pezzi inediti non sono da ricordare, e sembrano quasi messi lì per forza. Non che non si rispettino le scelte di Paul, semplicemente proposte in questo modo risultano un po' poco incisive. Se si cerca un buon album di chitarra rock l'ultimo di Satriani è più soddisfacente, se si cerca uno sfogo goliardico/fusion l'ultimo degli Aristocrats è decisamente eccellente. Allora, quest'ultimo lavoro di Gilbert risulterà più accettabile se idealmente "unificato" a "Vibrato", e se considerato a livello di manifesto di nuove idee piuttosto che per i contenuti a livello generale; in revisione finale è un album comunque onesto, sincero, non ruffiano, decisamente soggettivo, ma forse sotto sotto non troppo riuscito.





01. Working For The Weekend
02. Back In The Saddle
03. I Got The Feelin'
04. Goodbye Yellow Brick Road
05. Why Don't We Do It In The Road
06. Shock Absorber
07. Purple Without All The Red
08. Murder By Numbers
09. My Girl
10. Wash Me Clean
11. Stone Pushing Uphill Man

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