Paul McCartney
NEW

2013, Concord/Universal
Pop Rock

Come restare al passo coi tempi, senza dimenticare la classe che ha contraddistinto un'intera carriera
Recensione di Nicolò Rizzo - Pubblicata in data: 15/10/13

It's funny, when I play people the album, they’re surprised it’s me. A lot of the tracks are quite varied and not necessarily in a style you'd recognise as mine. But I didn't want it to all sound the same. We had a lot of fun.

Sul fatto che Paul e soci si siano divertiti, non ci piove. E non si fatica a credere che la gente a cui McCartney ha fatto sentire l'album in anteprima abbia fatto un gran balzo sulla sedia chiedendosi "Ma è davvero lui?", perché una cosa possiamo dirla con certezza: "NEW", di scontato, ha solo il titolo. Diciamocelo, questo nuovo album del Baronetto lo attendevamo con trepidazione, ma non senza un po' di timore: tra l'improvvisata con i Nirvana al concerto per le vittime dell'uragano Sandy (un momento indimenticabile) e l'ultima, dubbia collaborazione con i nostrani Bloody Beetroots (l'unica domanda sensata in certi casi è "perché?"), i timori di strane sperimentazioni o cambiamenti di rotta causati da un'improvvisa manifestazone di demenza senile erano molti.

E in effetti in "NEW", per mantenere fede al titolo, non mancano strane sperimentazioni e leggeri cambiamenti di rotta, che però non sono affatto spiacevoli. Ad aprire l'album c'è la travolgente "Save Us", primo inedito presentato dal vivo all'IHeartRadio Festival del mese scorso; un riff potente e azzeccato e dei cori dissonanti nel ritornello ne fanno un buon pezzo d'apertura, che però non trova molta coerenza all'interno di un album (per fortuna) molto più vario e piacevole. La carica dell'opener, infatti, viene pacatamente smorzata da "Alligator", che per la varietà di toni e di stili è forse l'episodio che più racchiude l'essenza dell'album: un pezzo essenzialmente acustico (come molti altri nel disco), inframmezzato saltuariamente da eleganti fraseggi di chitarra elettrica e da una brusca interruzione, molto "pinkfloydiana", a confermare che quel danantissimo sound British, che ha sempre fatto la differenza tra gli artisti inglesi e il mondo, non ha ancora perso lo smalto.

Parlare di "modelli" o "fonti d'ispirazione" rigaurdo a un pilastro della musica mondiale del calibro di McCartney è quasi imbarazzante, ma non è inutile segnalare alcune curiose affinità, in particolare con i Talking Heads in "Everybody Out There" (speravate nei Pink Floyd, vero?) e con Johnny Cash nella toccante "Early Days", sicuramente una delle tracce più preziose del disco. La title-track "NEW" si rivela paradossalmente la più tradizionale, con un sound che ci dimostra che l'esperienza dei Beatles è tutt'altro che dimenticata e mai fuoriluogo, ritornando in un pezzo che incoraggia il buonumore (non a caso è stato scelto come primo singolo). Infine, una menzione particolare spetta ad "Appreciate": pezzo essenzialmente elettronico se non per qualche intermezzo di piano e un breve riff di chitarra alla Page sul finale. Farà storcere il naso ai fan della vecchia guarda, ma sottolinea la voglia di sperimentare e di ricercare nuove sonorità di un uomo che, di fatto, potrebbe starsene comodamente seduto sul divano a spendere le giornate a contare i suoi dischi di platino.

Sir Paul McCartney si dimostra nuovamente nel pieno di una giovinezza che sembra ormai eterna, regalandoci un album fresco e interessante, molto vario e sempre alla ricerca di nuove forme espressive, riuscendo nel difficile intento di non ripetersi. Insomma, sicuramente non è l'album migliore della sua carriera (e con un carriera come la sua, sarebbe stato un miracolo), ma una cosa è certa: se davvero McCartney è morto in quel famoso incidente del '66, il suo sosia è più in forma che mai.



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