In quaranta minuti si traccia un solco generazionale che è in realtà una sorta di via di fuga da quanto creato nei mesi precedenti il 1978. Era già tempo per una fase Post. Sebbene la storia dei Sex Pistols sia già finita con la nascita dei PIL, un breve excursus è d'obbligo. Sono anni duri in cui i duri osano e le censure tentennano perché c'è qualcosa di grosso a muovere i bassifondi, qualcosa che va oltre il denaro. Pragmatica ed euforica, la prima pubblicazione del redento Johnny Rotten senza Sid - che riuscì per pochi giorni ad ascoltare e a commentare, partecipando in modo limitrofo alla fase compositiva - è inevitabilmente Punk nell'attitudine ma già innovativa.
Dopo aver saccheggiato il mondo della musica in poco meno di un anno, John torna in auge (ossia mette la faccia perchè una faccia così fa scena e, a quanto pare, tendenza) con un progetto che spiazza, anticipa, colpisce e forma - ancora - una nuova generazione. Nella storia, quella che costruiamo parallelamente a Queen Elizabeth o alla novella Annalisa, rimangono incastonati due singoli opposti. Il primo è un sermone che l'autarchico don Lydon svolge per e contro il cristianesimo nello stesso modo in cui tale movimento veniva ed è diffuso. L'altro è il self titled che fa conoscere la band nel mondo, costruito ad arte su di una semplice e possente base di basso che sbatte contro urla teatrali e impazzite per germinare e generare, nei decenni successivi, prototipi di regolare rivolta ancorata (forse) a un'ideale più che a una causa ben sposata.
First Issue cambiò le regole dopo che tutti avevano capito che non c'erano regole: non può quindi che raffigurare la confusione di massa, da cui, nel rispetto del prossimo e nella riconoscenza verso una società rinnovata - già tutta da frantumare - fu facile e quasi automatico lasciarsi abbandonare allo sfacelo degli stessi ideali volatili e arroganti che, un tempo, la costituirono.