Priest
New Flesh

2017, Lövely Records
Elettronica

Recensione di Isadora Troiano - Pubblicata in data: 20/11/17

Morto un Papa se ne fa un altro, questa è, in breve, l’origine dei Priest. È inutile nascondere la testa sotto la sabbia, la nuova band scandinava nasce più che dalle ceneri dalle fiamme della causa legale che vede (tuttora) contrapposti Papa Emeritus (al secolo Tobias Forge) e i suoi ex Nameless Ghouls. Un paio di loro, il chitarrista Alpha e il tastierista Air, attualmente noto come Airghoul, si sono rimessi in gioco creando una band dal nome che rimanda vagamente alla precedente, appunto Priest, prete, e un’iconografia altrettanto suggestiva, con un cantante munito di maschera fetish borchiata e vestito clericale e due misteriosi musicisti in maschera adunca da medico della Peste. Ma le similitudini finiscono qui, visto che i Priest sono una band completamente diversa, sia dai precedenti che dal solito.

 

Col loro sound elettronico al massimo, i ritmi da club underground della New York degli anni '80 e le atmosfere cupe dei video, i Priest hanno lanciato nel mondo un prodotto, l’album “New Flesh”, che si discosta dalle attuali correnti musicali e si innesta in un genere, quello dell’elettronica appunto, che è ormai trasversale nel tempo. L’album si apre con “The Pit”, uno dei singoli già pubblicati, che catapulta l’ascoltatore in una buia discoteca sotterranea, piena di laser, luci stroboscopiche e ballerini vestiti di latex. Il riff portante e la voce effettata, sostenuti dal ritmo incalzante della batteria elettronica, ricordano l’industrial e sono un buon esempio di come si svilupperà l’intero lavoro. “Vaudeville” è l’ultimo singolo proposto dalla band, fatto di melodie ipnotiche e distorsioni elettroniche spinte, che fanno quasi pensare a un’entità robotica dietro le fila di questa “misteriosa” band. È la volta di un altro singolo, “History in Black”, un beat serratissimo accompagnato da un video suggestivamente diabolico, quasi da primi Nine Inch Nails. Ancora un singolo con l’oscura “The Cross”: il riff è quasi un omaggio alle colonne sonore dei film horror anni '70, mentre la voce sdoppiata si intreccia al ritmo ossessivo della batteria elettronica. Da “Private Eye” in poi, invece, si entra nella dimensione più soft del disco, che ricorda, inevitabilmente, i Depeche Mode dei primi anni 80, soprattutto con “Nightmare Hotel” , la successiva “Call My Name” e il brano di chiusura “Reloader”. La musica si fa più rarefatta e lenta, l’uso degli strumenti elettronici viene modulato per creare un effetto più delicato e onirico, mantenendo comunque un sound strutturato e potente. 

 

“New Flesh” è nel complesso un disco piacevole da ascoltare e una sorpresa per chi, dagli ex Ghost, si aspettava qualcosa di più aderente al genere rock/metal. Il sound retrò, prodotto magistralmente da Niklas Berglöf (Slagsmålsklubben, Dead Soul) e Magnus Lindberg, con l’aiuto dell’ex Nameless Ghoul Alpha, non risulta anacronistico anzi dà all’intera composizione una patina raffinata e solo leggermente nostalgica. Siamo davanti a una band da tenere d’occhio, c’è da vedere dove porterà questo piccolo “scisma” musicale.





01. The Pit

02. Vaudeville

03. History in Black

04. Populist

05. The Cross

06. Private Eye

07. Nightmare Hotel

08. Virus

09. Call My Name

10. Reloader 

 

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