Ride
Smile

1990, Creation
Shoegaze

Gemme shoegaze-pop da un'antica gioventù
Recensione di Alberto Battaglia - Pubblicata in data: 22/02/13

La tenera caducità dei petali di "Smile" evoca alla mente la giovinezza. Erano a malapena ventenni, infatti, Gardener e Bell quando registrano due EP, tra 1989 e 1990, che diventeranno subito dischi da classifica nel Regno Unito (la tiratura iniziale del primo EP si esaurì due giorni dopo la sua pubblicazione). Parliamo di "Ride" e "Play", parliamo della sintesi shoegaze-pop che farà proseliti nei primi anni Novanta inglesi. Prima di pubblicare "Nowhere" la band di Oxford delizia con queste schegge di musica incosciente, grezza e orecchiabilissima. Ci sono le distorsioni dei Jesus and Mary Chain ci sono le sfuriate dei My Bloody Valentine, ma ci sono anche un gusto melodico  personalissimo e ispirazione naturale; quella che che a vent'anni esce fuori, così.


"Smile" raccoglie i petali di questi due EP: ciascuno di questi possiede deliziose, per quanto acerbe, idee musicali. Mentre i Ride sacrali del loro capolavoro ancora non esistono, quelli di questi esordi sono, invece, solari e spontanei. Beatles, Stone Roses e House of Love hanno conferito a questa musica principalmente distorta e vaporosa quel quid melodico e accessibile che ha poi permesso l'affermarsi del genere su una scala più vasta: di fatto sono queste le canzoni più influenti dei Ride se li si compara con la musica che seguirà poi (Catherine Wheel, Adorable, Swervedriver, ...). Qui c'è il noise, c'è la melodia, c'è la carica musolare rock. E poi ci sono le canzoni, vediamole. "Chelsea girl" è già da subito un cavallo di battaglia delle esibizioni dal vivo: i tempi tirati, la melodia cantabile proferita da una voce tanto lieve quanto pesano quelle sferzate di chitarra raschiona. E poi "Drive Blind" che rallenta i ritmi  creando un'atmosfera più dark, ma non meno accattivante, attaverso un riff di chitarra di facile presa. Ancora meglio sono "All I Can See" e "Close My Eyes" che possono vantare arrangiamenti più elaborati senza perdere in facilità d'ascolto; per la seconda, inoltre, il muro di suono è già quello dei più tipici dei 90s (vedere "Today" degli Smashing Pumpkins e provare l'affinità). Il secondo EP riserva altre quattro canzoni di grande impatto: "Like A Daydream" è un altro pezzo forte del repertorio, diretto e orecchiabile, ma "Furthest Sense" e ancora di più "Perfect Time" sono gemme tutte da lucidare. Graffianti, rapidissime, nervose eppure vocalmente aggraziate e soavi.


Peccato davvero di gioventù quello di aver registrato queste otto tracce con un suono impreciso, quasi da demo, perché se i suoni fossero ordinati e scintillanti come quelli odierni sarebbe difficile negare alla naturale purezza di queste canzoni un mezzo voto in più. L'ascolto di "Smile" riporta all'adolescenza di tanti anni fa, ma pur col suono di altri tempi il lineamenti efebici di questa musica restano ancora immutati.





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