Rose Windows
Rose Windows

2015, SubPop
Psychedelic / Hard Rock

Recensione di Riccardo Coppola - Pubblicata in data: 04/05/15

C'è quella musica che è fuori da ogni epoca, che vive beata in una sorta di limbo nostalgico che la preserva dall'invecchiamento, che la conserva immutatamente fascinosa al passare delle decadi: vorreste dire che, mentre in centinaia di veri o presunti progessisti del rock s'arrabattano per offrire al loro credo declinazioni sonore sempre nuove, tutti noi ascoltatori non restiamo sempre solleticati e appagati anche dal semplice e sincero suono di una chitarra blues? Di quel rock in cui le voci femminili appena sporcate da imperfetti (una volta per davvero, nel 2015 per amore di verosimiglianza storica) sistemi microfonici si librano in acida, sensuale estasi sulle note in overdrive. Di quel rock in cui le strutture ritmiche sembrano rallentare a ogni battuta, arrancando, come se incespicassero nella propria stessa intensità.

"Rose Windows" è così: un'esprosione di psych-blues messa su disco da cinque giovincelli statunitensi, che è credibile nel suonare come se fosse stata registrata in full-analog, che mette in primo piano due voci -una di uomo, una di donna- che paiono pescate da festival di malinconici cantautori sotto acidi. Un disco fatto di flauti di pan che sposano, con un sound che ricorda da vicino quello degli svedesi Graveyard, un granitico hard-rock (il singolo "Glory, Glory"), di acustiche e pianoforti che guidano superbe ballate, con divagazioni solistiche alla "Wish You Were Here" ("The Old Crow"), di crepuscolari, oniriche visioni affidate a secchi schiocchi di batteria e mantra a due voci (intro "Bodhi Song").

Perdendosi meno in chiacchiere rispetto a quanto fatto in "The Sun Dogs" (che comunque, va ricordato, era pur sempre un esordio), i Rose Windows consegnano alle nostre orecchie un album dannatamente solido, maturo. Che, ovviamente, non introduce effettivamente nulla nel bagaglio musicale dell'umanità. Ma che, se si chiudono gli occhi mentre lo si ascolta, riesce quasi a far correre la mente indietro di una cinquantina d'anni. Facendo quasi vedere riserve incontaminate e autostrade infinite che riverberano in dissolvenza l'abbagliante luce del sole, sterminate distese di tende da campeggio ai primi festival di Coachella e falò circondati da allegrissima gente dagli abiti appariscenti. Non si può dunque perdonare una certa mancanza di originalità, in virtù di un tale carico immaginifico?





01. Bodhi Song
02. Glory, Glory
03. Blind
04. Strip Mall Babylon
05. Come Get Us Again
06. The Old Crow
07. Aurora Avenue
08. A Pleasure To Burn
09. Hirami

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