Ancestrali, magnetici, ossessivi: dopo l'orgia cerimoniale di "Caosgon", le crudeli liturgie di "Netrayoni", le depravazioni bramine di "Padmalotus" e gli abomini innominabili di "Qaal Babalon", i Nibiru, in "Salbrox", mettono in scena la metamorfosi del Sé secondo il principio alchemico del "Solve Et Coagula". Il linguaggio perduto degli angeli decaduti, intercalato da minacciosi versi in italiano, viene investito di una missione ben precisa, ovvero dar voce e sangue alla sofferenza e alla mortificazione, step necessari al fine di ottenere la perfetta (?) palingenesi spirituale. Certo, si potrà magari rimproverare alla band torinese il fatto che, se dal punto di vista lirico i cambiamenti risultano significativi, da quello prettamente musicale le variazioni sul tema, benché presenti, suonano tutt'altro che fondamentali: eppure i nostri, proprio nell'attingere a un humus evocativo di cui sono i massimi araldi, risultano capaci di piegare e modellare la materia già nota secondo le esigenze e gli obiettivi contingenti.
Soggiogare il sapiente avido di potere e di giovinezza, il martire eretico e il folle che risorge rappresenta la sfida vinta in partenza dal gruppo del Belpaese: seguendo il processo di relativa normalizzazione degli ultimi due lavori in studio, Ardat, Ri e L. C. Chertan giungono a una forma compiuta di psychedelic sludge acido, visionario e, forse, mai così deformato in senso ritualistico. I brani, distesi su un tappeto ritmico monocorde e reiterativo, non si lasciano irretire, as usual, da problemi di durata: l'opener "EHNB", con i suoi quattordici minuti abbondanti, viaggia nelle volute mortifere della prostituzione sacrificale, tra il fiele velenoso del mini didgeridoo, i funebri rintocchi di campane e le percussioni profumate di tortura e trasmutazione.
Da qui in poi la catabasi, indispensabile per l'agognata purificazione, diviene sempre più terrificante: "EXARP" affonda lasciva nel vomito della consunzione, "HCOMA" sibila drone e bestiale euforia bacchica, "NANTA" trasforma gli Eyehategod nei sacerdoti del miasmo eterno. Poi, arriva il momento decisivo: l'ambient macilento di "ABALPT" e il pianoforte egemonico di "BITOM" segnano, dell'anima, il punto di non ritorno: "RZIORN", con cadenze black da sanatorio psichiatrico, accoglie, nello sconforto, l'attesa ascensione.
Con "Salbrox", i Nibiru continuano il percorso tracciato da sette anni a questa parte senza ricorrere a particolari stravolgimenti stilistico-espressivi: a tratti emerge l'ovvia sensazione di déjà vu, ma aver arricchito il libro di Enoch di un nuovo capitolo merita un sentito plauso. Con la consapevolezza che le nozze interiori costituiscono soltanto il preludio alla putrefazione.