La band inizia a seminare perle già da "Entrails Of The Hag Queen", in cui l'originale intreccio di armonie delle chitarre fa sprofondare l'ascoltatore in un'atmosfera di perversione e disagio, di cui gli Incantation vengono considerati maestri, al pari dei colleghi e conterranei Immolation. Troviamo un'alteranza di fughe blastbeat e frenate doom anche in "Guardians From The Primevale" e nella successiva, ultrapercussiva, "Black Fathom's Fire", che scava sotto i nostri piedi un tunnel di violenza nei primi minuti, per poi detonare nel rallentato centrale; evidente la volontà, già espressa nei lavori precedenti e qui ulteriormente accentuata, di giocare sulla profonda rotondità dei bassi, sommergibili atomici che avvolgono la spigolosa affilatezza delle chitarre. Consumiamo lentamente al calore di "Ignis Fatuus", che dilata il doom fino a sperderlo nel fondo di fosse oceaniche prive di luce, dove veniamo recuperati da allucinate twin guitars di passaggio. Facciamo appena in tempo a salire a bordo e ricevere il primo soccorso, che il meteorite "Chant Of Formless Dread" - punteggiato di continui cambi di tempo e voci dal profondo dell'inferno - colpisce la nostra nave e la precipita nella sinistra "Shadow-Blade Masters Of Tempest And Maelstorm", che con la complessità della sua struttura rappresenta uno degli architravi dell'album.
Non che prima del 2005 la band non conoscesse il proprio mestiere, ma sembra proprio che la nuova e (ci auguriamo) definitiva line-up di questi ultimi anni - con Kyle Severn alla batteria ed Alex Bouks alla chitarra - ne abbia consolidato definitivamente il sound. Se "Scribe Of the Stygian", ad esempio, riesce a distillare doom con sapiente uso delle dinamiche ad un'espressività davvero rara, "Unborn Ambrosia" è un poema sonoro della blasfemia e dell'oscurità, in cui la produzione ed il songwriting mostrano tutta la loro forza. "Fuurys Manifesto" riconduce a ben più alte velocità e sfoggia uno schiacciasassi death d'ordinanza, nelle cui pause di vorticoso airdrumming, un poliziotto sadico ci legge i diritti di cui non godiamo più; la conclusiva "Siege Hive" sigla, invece, con classe ed autorità, la nostra condanna a vita.
Meno melodico del precedente e meno parossistico di "Dirges Of Elysium", precipitato nero come la pece che gronda da ogni traccia, "Sect Of Vile Divinities" è un canto funebre dedicato a diversi mali antichi in varie culture ed ha - a giudicare dalle liriche - come bersaglio principale il fanatismo reigioso in ogni sua forma. Possiamo imputare agli Incantation la ripetizione ostinata della formula messa a punto in passato, non certo che essa non sia riuscita.