Seven Spires
Solveig

2017, SAOL
Symphonic/Power Metal

Recensione di Costanza Colombo - Pubblicata in data: 27/07/17

Si ringrazia Stefano Torretta per la collaborazione

 

Di seta porpora e di sinistra maschera è il costume di scena della regina/prigioniera del concept d'esordio dei Seven Spires. Novella aspirante phantom of the Opera, la talentuosa Adrienne Cowan risulta fin dalle prime tracce il fulcro incontrastato del carillon maledetto confezionatole su misura dai compagni di scena.

 

Lo scrigno di suggestioni modellate dalla band statunitense si era già schiuso nel 2014 con il promettente EP "The Cabaret Of Dreams" e adesso, con questo full-length, ne raddoppia il contenuto. La Cowan, più demone che sirena, tiene le fila dello spettacolo sonoro con una voce potente, grezza, a tratti violenta ma comunque capace di farsi sognante ed evocativa ("100 Days"), senza alcuno sforzo apparente. Per chi si approccia per la prima volta non soltanto a "Solveig" ma anche alla band si consiglia l'ascolto della title-track dell'EP così da riconoscere il giusto merito alla vivacità teatrale, e alla teasing attitude, della quarta e coinvolgente traccia, naturalmente pezzo forte del primo atto.

 

Venendo al secondo, dispiace constatare come, anche lo stesso singolo "Paradox", scelto a rappresentare gli inediti, seppur grintosissimo e palco ideale per dar mostra della versatilità stilistica della band (in questo brano quasi aspiranti discepoli delle maligne fascinazioni dei Cradle Of Filth) manchi della freschezza della precedente "The Cabaret Of Dreams".

 

L'atmosfera si alleggerisce notevolmente con la successiva "Distant Lights", che include certe soluzioni adottate nel disco d'esordio dei nostri Temperance, e la penultima e catchy "Ashes" che, col suo ampio respiro, riff radiofonici e melodie vocali irresistibili, realizza l'episodio più accessibile del secondo atto, nonché il lieto fine del concept. Impossibile però non riconoscere, perfino nell'assolo di chitarra cardine dell'intro di questo brano, forti rimandi a certi elementi tipici dei Kamelot. Che si tratti di "citazioni" involontarie, sudditanza psicologica al genere d'estrazione, o che ci sia pure lo zampino del missaggio di Sasha Paeth, difficile ignorare come "Closure" e "Stay" ricordino quanto già proposto da Thomas Youngblood & Co. per poi scivolare in qualcosa di fin troppo simile al più recente "Silverthorn", senza averne comunque l'intrinseca eleganza.

 

Se la valutazione è compromessa dalla mancanza d'originalità e dal minor pathos della seconda metà della scaletta, proprio quella costituita dagli inediti, è innegabile comunque che se la Cowan e compari si facessero coraggio e osassero spingersi oltre all'inevitabile bagaglio di influenze accumulato negli anni (magari rielaborando con maggior spirito il tutto, come nel caso delle tracce meglio riuscite) non è da escludere che il futuro possa riservare loro discrete soddisfazioni in studio e dal vivo.

 

Consigliato a chi non ricerca l'innovazione a tutti i costi e ai neofiti capaci di entusiasmarsi per il symphonic metal carico di orchestrazioni sullo stile dei Kamelot post "Ghost Opera".

 





01. The Siren
02. Encounter
03. The Siren
04. The Cabaret of Dreams
05. Choices
06. Closure
07. 100 Days
08. Stay
09. The Paradox
10. Serenity
11. Depths
12. Distant Lights
13. Burn
14. Ashes
15. Reflections

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