Pochi potrebbero affermare che l'attuale scena metal italiana soffra di cattive condizioni di salute: tenendo fede a una miscela sonora feconda di bestialità e perizia, nell'ultimo decennio una cornucopia di gruppi del Belpaese è riuscita a propagare un flagello demolitore di qualità non inferiore a quello diffuso dal resto del mondo estremo. Gli Hideous Divinity rientrano nella categoria dei fuoriclasse, di coloro che fanno la differenza in ogni situazione: un act, la cui formazione annovera membri attuali e passati di Aborted e Hour Of Penance (rispettivamente Stefano Franceschini ed Enrico Schettino), che, dapprima grazie al micidiale "Cobra Verde" (2014), poi con lo splendido "Adveniens" (2017), ha rivelato appieno il proprio distruttivo ed eclettico potenziale.
Il nuovo album "Simulacrum", esordio del combo su Century Media, si muove un po' sulla falsariga dello scorso lavoro: da una parte la firma con una grande label, dall'altra il raggiungimento di un ottimo equilibrio in termini di songwriting, rappresentano due legittimi motivi per prediligere la continuità invece che l'azzardo. Eppure, benché consolidato, il particolare technical/brutal death dei capitolini riserva comunque delle sorprese, sfuggendo al facile incasellamento: in filigrana si nota sempre l'influenza dei Suffocation, ma oramai da almeno un lustro i nostri non lesinano profonde corruttele provenienti dal black più apocalittico ed epicheggiante.
Così, brani quali "Anamorphia Atto III", "Acteon", "Seed Of Future Horror", alternano cadenze sorrette dal canonico tupa-tupa a dissonanze ritmiche degne del roster della Norma Evangelium Diaboli. Nell'economia del rischio calcolato, e all'interno di un dedalo di cambi di tempo a tratti frastornante, spuntano echi industrial ("Deleuzean Century", "Implemini Exitio"), reminiscenze floridiane rielaborate in chiave vagamente post ("The Deaden Room", "Bent Until Fracture"), possenti interludi marziali ("Prey To A Vision"), barbagli core ("The Embalmer"). Il tutto viene condito dalla teatrale prestazione vocale di Enrico "H." Di Lorenzo e da sinuosi intrecci melodici à la Disentomb che rendono il disco godibile anche per una fascia relativamente maggiore di ascoltatori, malgrado l'articolato concept lynchiano presenti riflessioni filosofiche di non immediata assimilazione.
Un "Simulacrum", dunque, variegato nella sicurezza; gli Hideous Divinity impilano un ulteriore mattone nella loro carriera, confermandosi come una band coesa, dallo stile riconoscibile e prossima a ulteriori commistioni. (Quasi) unici nel loro genere.