Steve Rothery Band
The Ghost Of Pripyat

2015, No Speak Records
Progressive Rock

Recensione di Luca Ciuti - Pubblicata in data: 30/01/15

Dopo una lunga gestazione partita dal solito crowdfunding on line di cui i Marillion sono stati indiscutibili precursori, vede finalmente la luce “The Ghost Of Pripyat”: il debutto solista del chitarrista Steve Rothery ha creato attorno alla sua uscita una certa attesa, amplificata dai feedback positivi ricevuti con “Live In Rome” e dall’intensa attività promozionale che sta assorbendo il paffuto chitarrista da parecchi mesi. “The Ghost Of Pripyat” fa parte di quelle uscite che si sa benissimo dove andrà parare ancora prima di ascoltarlo: è un lavoro che suonerà alle orecchie di molti prevedibile e un tantino pretenzioso, un soliloquio senza soluzione di continuità, un atto dovuto a coronamento di una pur rispettabile carriera.

Stilisticamente, il disco attinge alle atmosfere di “The Endless River”, tanto per non mancare di attualità, e a un ascolto attento dà la sensazione di svilupparsi in modo ciclico, vuoi per la linearità di alcune parti ritmiche, vuoi per i continui alternarsi di crescendo e atmosfere soffuse. Questo l’approccio formale, ma “The Ghost Of Pripyat” va analizzato in un’ottica del tutto diversa: occorre scendere a un livello più approfondito di ascolto, al
primo soffio di tastiere che introduce “Morpheus”, docili melodie che si stagliano su una base che cambia di dinamica man mano che il pezzo avanza, per capire che il disco ha tutte le carte in regola per candidarsi fra le migliori release del 2015 in ambito prog rock. Rothery asseconda più che mai l’ascendente dei Pink Floyd e dei Genesis, quello per cui non esistono note superflue o fuori posto, che poggino sulle solide ritmiche di “Kendris” o su melliflui supporti sonori di “Summer’s End”. Atmosfere dunque elaborate, in antitesi alla semplicità di arrangiamenti costruiti su una base ritmica essenziale che esce fuori compatta e decisa. Doveroso segnalare le due guest stars presenti sul disco, Steve Hackett impreziosisce “Morpheus” con un solo di altissima scuola mentre l’onnipresente Steven Wilson si cimenta anche lui in un avvincente solo negli undici minuti di “The Old Man And The Sea”; un pezzo avvolto in malinconici paesaggi bagnati dal mare e dalla pioggia, forse il momento più ispirato di tutta l’opera. Emergono prepotenti in “Yesterday’s Hero” le influenze dei padri ispiratori e la fluidità tipica dello stile di Rothery, sia in arpeggio che in assolo: un pezzo che pare uscita dalla penna di David Gilmour (ancora lui..) al punto da lambire sul finale le atmosfere di “Animals” e “One Of These Days”.

Elementi, impressioni ed emozioni sufficienti a fare di “The Ghost Of Pripyat” un disco che si lascia apprezzare ad ogni ascolto di più: onore dunque al chitarrista inglese capace di districarsi in un contesto sonoro senz’altro meno complesso dei Marillion, ma capace in molti passaggi persino di emozionare in misura maggiore.  Sessantamila sterline di crowdfunding che si sono abbondantemente ripagate da sole.




01. Morpheus
02. Kendris
03. The Old Man Of The Sea
04. White Pass
05. Yesterday’s End
06. Summer’s End
07. The Ghosts Of Pripyat

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