Voïvod
The Wake

2018, Century Media Records
Progressive Metal

Dopo la ruvida terrosità rock degli album garage con Jason Newsted, dopo il reset di "Infini", dopo avere rivisitato il thrash degli esordi col precedente "Target Earth", i Voïvod tornano a varcare i cieli.
Recensione di Matteo Poli - Pubblicata in data: 14/09/18

Riscossa: s.f. Contrattacco o lotta per la riconquista, l'affermazione di qualcosa e specialmente dei propri diritti. Riscossa. Questa la parola che sale alle labbra mentre, sin dai primi sinistri ronzii di "Obsolete Beings", si viene arruolati nell'armata spaziale Voïvod, si sale a bordo di "The Wake", diciassettesimo album in studio della band franco-canadese e si dimenticano le miserie del nostro tristo pianeta. Alta era l'aspettativa su questo lavoro, da parte di chi ha seguito con attenzione l'evolversi dei fatti all'indomani del tragico addio di Denis D'Amour ("Piggy"). Si tratta di una riscossa sotto diversi punti di vista: è il coronamento di dieci anni di lavoro e passione da parte del chitarrista Daniel Mongrain ("Chewy"), che ha avuto il non facile compito - all'inizio, affiancando Denis nelle session di "Infini" - di raccogliere e portare avanti l'eredità di Piggy, senza esserne il clone e senza tradirne la lezione; è il fiero ritorno - già in parte annunciato dal precedente EP "Post Society" - a stile e soluzioni della fase ritenuta da molti la più alta, certo la più ambiziosa della loro avventura: album come "Dimension Hatröss", "Nothingface" e "The Outer Limits" che, tra la fine degli anni '80 e i primi '90, hanno tolto il sonno a diversi fan e critici musicali.


Inoltre, ci sentiamo di aggiungere, è una riscossa perché la band non solo mantiene ciò che promette, ma è anche in grado di spingersi oltre, di superare se stessa. Spingersi oltre è sempre stata la sua cifra stilistica, l'imperativo morale; a qualsiasi costo, anche a quello di spiazzare tutti, o quasi. "The Wake" non tradisce la formula; si tratta di un lavoro complesso e stratificato, dall'andamento rapsodico e bifronte e dalla geometria ingannevole, che guarda avanti anche quando sembra stia guardando indietro, e viceversa. Per certi versi, la si potrebbe considerare quasi un'antologia personale, un diario di bordo rinvenuto in una capsula dispersa al largo della cintura di Orione. Non dimentichiamolo: nel 2018 corre l'anniversario dei trentacinque anni di carriera.


Come non gli fosse bastato scombinare le carte del thrash negli anni '80 e inventare un inimitabile prog space metal rock nei primi '90, la combo mette in atto l'ennesimo cambio di rotta. Nuovo non tanto per le armonie impervie o per le architetture ritmiche, che sono quelle che i fan conoscono e amano, ma soprattutto perchè si avverte come Chewy - un chitarrista dallo stile fluido, originariamente lontano da quello spigoloso di Piggy - abbia conferito un'impronta davvero inedita all'insieme. Dal punto di vista delle liriche, sembra chiara l'ambizione di offrire una sintesi dei due più fecondi filoni della loro produzione, ovvero gli incubi tecnologici e la critica sociale. I primi abbondano fino a metà anni '90; questa prende piede dopo, nei primi Duemila. "The Wake", sulla scia e oltre il precedente "Post Society", allarga indefinitamente la maglia metal di "Target Earth" imbastendola di peripezie prog, esatonalità, vuoti d'aria, giocando con temi ricorrenti in diversi brani, autocitazioni (la più evidente è nella lunga e frattale "Sonic Mycelium" - sorta di suite e medley ricapitolativo che evoca i "cadaveri squisiti" dei surrrealisti - in dialogo col classico "Jack Luminous"; "Event Horizon" riprende invece le spezzature di "Nothingface"); false piste, dissolvenze, silenzi improvvisi ed altrettanto improvvisi cambi di regime. Fermandoci anche solo ai due singoli apripista "Obsolete Beings" e "Always Moving", il primo scartavetra con sarcasmo la superficie della nostra ipertrofia tecnologica, mentre il secondo è quasi un manifesto, oltre che un tenero omaggio a Piggy. Si consolida l'apporto del nuovo arrivo, Dominic Laroche ("Rocky") al basso; riscossa anche per Denis Bélanger, aka "Snake", di rado così ispirato e in forma dietro il microfono come in quest'ultimo lavoro, in cui dimostra come il cantato può essere suggestivo senza essere educato e tagliente senza essere growl.


Ma non basta, la band si lancia in territori mai toccati: la sinfonica contemporanea, ad esempio, dispiegata dal sinistro ponte di archi di "Sonic Mycelium" che evoca atmosfere degne di Edgar Varese, Gyorgy Ligeti ed Arvo Pärt, confermando la band come una delle massime espressioni del postmoderno in musica. Sebbene la band - sempre fieramente anticommerciale - abbia prediletto spesso singoli spigolosi, si potrebbe consigliare al neofita di intraprendere l'ascolto dell'album da "Orb Confusion", il brano più orecchiabile ed accattivante, che suona come una liquidazione e distillazione dello stile garage dei Duemila. Per il resto, c'è solo da allacciare le cinture e tenersi forte.

"The Wake" sembra suggerirci che i Voïvod sono sì in circolazione da parecchio, ma in quanto a stile e libertà hanno ancora diverse cose da dire. Noi ci siamo e siamo già in orbita.





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