Lanciati dagli EP "Im Sorry..." e "Thank You" e da un paio di singoli discretamente riusciti, che hanno smosso una certa curiosità in particolar modo nel web, i The Neighbourhood sono senza ombra di dubbio una di quelle band sulle quali i media musicali potranno puntare per rinnovare le proprie playlist quando gli attuali tormentoni saranno ormai venuti a noia. Gli ingredienti per diventare il nuovo pop act di successo, infatti, ci sono tutti: c'è il giovane frontman carismatico dall'aspetto semi-tormentato e tatuato, ci sono i videoclip che catturano l'attenzione con sapienti frame in bianco e nero d'auto decappottabili e ammiccanti sguardi femminei, c'è quel sound da tramonto underground che possiede sempre un suo certo fascino.
Senza volersi interrogare su quanto sia autentica l'immagine che la band si è costruita attorno, quel che va riconosciuto dopo aver ascoltato a fondo il debutto "I Love You" è che Jesse Rutherford e soci sono capaci di regalare qualche (piccolo) indizio d'ispirazione e talento. Tra le undici tracce dell'album, infatti, i momenti moderatamente convincenti ci sono: la cupa "How", con la sua curata introduzione vagamente psichedelica, le già sentite e decisamente orecchiabili "Sweather Weather" e "Female Robbery", l'incedere avvolgente di "Everybody's Watching Me" (pezzo, tuttavia, penalizzato da un ritornello decisamente sottotono). Alla lunga, però, il canovaccio diventa fin troppo ripetitivo: le idee non sembrano tantissime, e quando si smette di seguire le consolidate coordinate dell'indie-hip-rock si incappa in risultati disastrosi, come nella scialba ballata pop-rock "Alleyways" e nella insostenibilmente melensa "Flawless". Disarmante, inoltre, la vuotezza dei testi, che si rifugiano con facilità in mugugni e "da da da" quando un estro già qualitativamente misero e votato all'explicit lyric gratuita finisce per esaurirsi anche quantitativamente.
Se non fossimo sottoposti giornalmente, tra tv e radio, a impietosi bombardamenti a grappolo di pop-rock giovine e rappeggiante, "I Love You" potrebbe riuscire a suscitare un interesse che duri più di qualche minuto. Il fatto è che il vicinato dei Neighbourhood è fin troppo sovraffollato, e che le speranze di svettare sull'anonimato generale si spengono sul nascere quando si va a prender posto, sia per stile che per qualità, tra gli atroci ma duri a morire The Script e i più freschi, ma comunque non trascendentali, Imagine Dragons. Ascoltabili? Sì. Indispensabili? Assolutamente no.