These New Puritans
Field Of Reeds

2013, Infectious Music
Avantgarde

Sospesi fra avanguardie storiche e moderne nostalgie
Recensione di Alberto Battaglia - Pubblicata in data: 28/07/13

Ogni lineamento, ogni fattezza esteriore che una canzone potrebbe mostrare per rivelarsi per quello che è, o dovrebbe essere, sfuma lungo le note instabili di “Field of Reeds” nella nebbia dell' avanguardia musicale del secondo Novecento. Ma la cosa veramente spiazzante, una volta inquadrato bene il genere in cui i britannici ora si cimentano, è che quest' opera, che attinge a piene mani dal minimalismo alla Terry Riley o dalle atmosfere alla Ligeti o Penderecki, proviene da una band dai trascorsi post-punk e, più in generale, da un mondo “rock” che in questo album non è più contemplato. Non ti aspetti tutto questo nell'ambito generale della musica leggera... è troppo. Mentre se consideriamo il disco una raccolta di pièces di musica colta non dovremmo stupirci se larga parte del pubblico non ha gli strumenti per capire o apprezzare belle cose come l'atonalità. I These New Puritans probabilmente sperano che questa radicalità compositiva faccia, nel bene o nel male, parlare di loro. Ci sono riusciti, e senza aver scritto veri capolavori.


Nonostante l'evidente animo ambizioso non parliamo di musica realmente rivoluzionaria. Anzi di rivoluzionario resta soprattutto la capacità di dividere gli ascoltatori fra chi troverà il tutto assurdo oppure geniale, ma alla fine l'operazione rientra a pieno titolo nella recente tendenza al recupero di linguaggi preesistenti e alla loro collocazione in contesti precedentemente estranei. La componente emotiva sembra essere filtrata in modo generalmente inefficace, sebbene si percepisca che l'intento di Jack Barnett fosse quello di dare alle ricerche sperimentali qualcosa della facilità d'assimilazione del pezzo pop: c'è troppa elucubrazione musicale perché il compromesso risulti vincente sulle emozioni dirette. Un' espansa alienazione accompagna invece l'ascolto di “Field of Reeds”, la quale è, a suo modo, un' emozione particolare, scollegante, fredda come una macchina. Fra le maglie di questa scrittura volutamente ermetica si scoprono sia eccessi sia gli esiti interessanti scaturiti da questa unione di sacro e profano, fra avanguardie storiche e moderne nostalgie. Fra le più facili, ma anche fra le più ispirate è la sonata depressiva di “Fragment Two”, un crescendo a partire da un essenziale frase di pianoforte, a cui fiati e parti corali aggiungono ulteriori connotazioni drammatiche. Meglio ancora la coesione globale di “V (Island Song)” che ripete la struttura ripetitiva di “Fragment Two”, articolata in due tempi caratterizzati ciascuno da un tema ricorrente: anche in questo episodio l'ascolto ha lo stesso effetto di una deriva spaziale senza meta. Fra i brani poi non si può nascondere qualche esperimento in cui succede decisamente troppo poco, in “Spiral”, per esempio, o nella ripetitività asessuata di “Organ Eternal”. Per fortuna il gran finale di “Field of Reeds” riscatta buona parte delle sezioni sottotono con un effetto dirompente, sacrale, che da qualche parte ricorda sinfonismo di “Agaetis Byrjun”, vibra in profondità e convince mente e cuore.

 

Furbizie a parte c'è del buono in questo lavoro, che per molti apparirà inizialmente impenetrabile. Ma contrariamente a quanto potrebbe sembrare le virtù del disco sono da individuare più negli episodi che nel senso generale di questo sperimentalismo in larga parte già sperimentato.





01. This Guy's in Love With You
02. Fragment Two
03. The Light in Your Name
04. V (Island Song)
05. Spiral
06. Organ Eternal
07. Nothing Else   
08. Dream  
09. Field of Reeds

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