Von Hertzen Brothers
New Day Rising

2015, Spinefarm Records
Alternative Rock

Recensione di Riccardo Coppola - Pubblicata in data: 22/03/15

Band sicuramente disorientante per i nuovi e vecchi fan, i Von Hertzen Brothers: pensavi d'aver trovato la new sensation dell'alternative rock finnico per poi trovarti spiazzato dal corale gothic di "Angel's Eyes" o dal giocosissimo folk acustico di "Always Been Right". Per poi arrivare al rimescolamento assoluto di correnti, stili e suggestioni che era l'ultimo album "Nine Lives": un disco dove a tratti ti sembrava di ascoltare un gruppo prog rock con Cornell alla voce; ad altri tratti ti sembrava di ascoltare un gruppo power/folk poi impazzito a causa della scoperta dei sintetizzatori; insomma, un amalgama di cose belle, suonate ottimamente e cantate possibilmente ancora meglio: un mezzo miracolo e un mezzo capolavoro.


Per "New Day Rising" l'abituale opera di folle stravolgimento è sempre presente ma -a dispetto del titolo dell'album- più moderata, come più soft è peraltro il tono generale dell'album, più propenso a cercare la ballata d'effetto che il complesso artefatto di alternative intellettuale dalla struttura cervellotica. Assoluta certezza e saldo trait d'union tra passato e presente, la voce del buon Mikko si presta alle dolcezze degli insoliti falsetti radio-friendly di "Hold Me Up", alle rotondità su fini arpeggi alternative e ottantiani bending di "Black Rain", ai lamenti da cuori infranti della conclusiva "Hibernated Heart". Ma anche alle taglienti spacconate della title track e main single, una pomposa e pittoresca riedizione dei Foo Fighters infarcita di cori e luminose tastiere che sanno tanto di Finlandia, ma anche di testi chiaramente calibrati per il mercato statunitense, nel quale alla band non dispiacerebbe sbarcare ("New York is changing, I will be ok"). La più secca voce di Kie (che da primo chitarrista trova anche in quest'uscita discografica il posticino per il riffone up-tempo schiacciasassi, su "You Don't Know My Name", e per il compassato assolo medio-lungo da prog colto, sull'epica "The Destitute") torna a farsi spazio nel folkloristico valzer di acustiche che è "Dreams", allegra festicciola di fischiettìi e saltellanti note al piano che racconta in toni originali dei sogni d'amore di un compositore ("Instead I sing and write a melody, I'll dream it all up to a song for you and me"). Luminescenze pop-rock si accendono, poi, in quelli che dell'album forse finiranno per essere gli episodi migliori: il dimesso e nostalgico giro di tastiere di "Love Burns" col passare dei minuti comincia a fare il paio con ottime chitarre per dar vita a un crescendo dannatamente coinvolgente; la mesta e intima intro di "Sunday Child" deflagra in un'esplosione di chitarre avvolgenti, di bassi tremendamente groovy (marchio di fabbrica di Jonne l'uso -talvolta l'abuso- di dub e distorsioni sul basso, tanto da far avere alle quattro corde un suono a volte più elettronico che elettrico), e di cori distesissimi, in una radiosa, poetica mini-suite che ha il gusto dei Dredg d'annata e l'orecchiabilità dei migliori Coldplay.

Rimane, in ogni caso, un assortito mazzo di critiche da muovere a un disco che può lasciare perplessi a un primo ascolto, che cresce fino anche ad esaltare alle successive riproduzioni, e che finisce per stabilizzarsi, col tempo, per lasciare moderatamente entusiasti. Sì, il confronto con un disco come il precedente, dal quale basta anche estrarre una bonus track per superare in valore assoluto una buona metà di questa tracklist, è assolutamente insostenibile. Sì, le citazioni sono fin troppo sfacciate (si sente qua il ritornello di "D.O.A.", là il main riff di "Hysteria") e spesso c'è anche una curiosa somiglianza con canzoni pescate da precedenti capitoli targati VHB ("You Don't Know My Name" non ha una costruzione troppo dissimile da "Coming Home", per dire). E sì, la congenita eterogeneità del sound non riesce ancora a inserirsi in un quadro d'insieme che non risulti -quantomeno agli inizi- abbastanza disorientante. Ma una semplice decontestualizzazione basta per far risaltare il miglior pregio di "New Day Rising": l'essere un'opera di rock puro, compatta, divertente, immediata; un disco che all'impatto può sembrare superficiale ma che è sotto sotto parecchio ricercato, godibilmente mainstream e al tempo stesso tanto, tanto elegante. Dei diversi innegabili difettucci, in fondo, chissene.





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