HIM
Greatest Lovesongs Vol. 666

1997, BMG
Gothic

Recensione di Federico Botti - Pubblicata in data: 02/06/10

Il 1997 vede il debutto, in Finlandia, l’anno dopo in Germania e in tutta Europa, di una band che, di lì a qualche anno, diventerà una dei capofila di un genere forse troppo sviluppato e copiato, quello del gothic metal, gli HIM. Il gruppo ha sempre dichiarato di ispirarsi ai lavori dei Black Sabbath, dei Sisters of Mercy e al metal dei primi anni ’90, death e doom inclusi. A queste sonorità Ville Valo (il leader), dichiara di sposare tematiche decisamente decadenti come l’amore e la morte (due temi spesso fusi l’uno con l’altro), il tutto legato da un substrato decisamente pop ed orecchiabile.

Quello che emerge da questa miscela è questo album, nel quale forse si vedono gli HIM più sinceri, meno condizionati dal mercato, più tirati e meno rammolliti o raddolciti. Certo non è un capolavoro indiscusso del genere, ma si fa ascoltare decisamente bene, è ricco di spunti interessanti (purtroppo poi poco sviluppati) e in certe canzoni è permeato davvero da un’aurea piuttosto malinconica e decadente. L’opener “For You” è un utile esempio per capire la musica dei Nostri (almeno nella loro primissima versione): chitarre pesanti e lente, distorte, una voce profonda e suadente, dei giri di basso di matrice quasi doom, delle tastiere spettrali a cucire il tutto. La canzone affascina indubbiamente, vuoi per il modo di cantare di Valo (sarà anche diventato un’icona pop, ma la voce ce l’ha eccome), vuoi per l’atmosfera suggestiva che costruisce. Altro pezzo grosso del disco, “Your Sweet Six Six Six”. Al di là dell’abuso indiscriminato che si fa del “666” (e di tutto il finto esoterismo spesso ostentato da chi ne fa uso senza averne in fondo le idee chiare), riconfermo le buone impressioni avute con la prima traccia. Forse questa canzone è già più digeribile e meno pesante della precedente, risultando piacevole soprattutto per il suo immediato appeal melodico. Terzo brano e altro pezzo da novanta del disco, “Wicked Game”. Anch’essa una cover (di Isaac questa, dei Blue Oyster Cult la finale “Don’t Fear The Reaper”): il brano si impernia molto sulla presenza rocciosa dell’accoppiata basso-batteria, con le chitarre che accompagnano il tutto divagando piacevolmente nella parte centrale in qualche assolo. La cover gioca bene le sue carte, spinta forte dalla bravura vocale di Valo, che seppure con qualche sussulto di troppo porta in fondo quello che col tempo sarà considerato pezzo grosso della discografia dei finnici.

Nel proseguire la scaletta merita una segnalazione positiva anche la gelida “Our Diabolikal Rapture”, nella quale si intravedono nuovamente i chitarroni graffianti e pesanti che ben duettano con la voce angelica di Valo (per intensità si avvicina molto, senza però eguagliarla. a “For You”). La successiva “It’s All Tears”, tutto sommato una traccia non eccezionale, che perde un po’ il confronto con le precedenti, ha il merito di introdurre il tipico riff che gli HIM useranno all’infinito nei prossimi dischi: quel giro di basso-chitarra nel corpo della canzone, così semplice eppure corposo e carico di tensione. Dove invece la band macinerà consensi a palate, accaparrandosi anche schiere di giovani fan infatuate per il tenebroso vocalist, è con “When Love And Death Embrace”. Canzone paradigmatica per il loro “love metal”, la ballatona metal unisce il calore avvolgente di Valo a tastiere sognati e disperate e a chitarre piuttosto pesanti e presenti. La traccia è innegabilmente bella, forse il pezzo forte dell’album, e soprattutto è il vero capolavoro canoro di Valo, che qui si esprime per intensità ai suoi massimi livelli. Ultima, di certo non da un punto di vista qualitativo, la conclusiva “(Don’t Fear) The Reaper”. Basata su un duetto voce maschile - femminile e sorretta da tastiere classiche e suadenti; la traccia è davvero intensa e ricca di spunti, decadente nel suo incedere trascinato e con un giro di chitarra e basso nel ritornello veramente ipnotico.

L’album si chiude qui. Peccato, come detto, che gli HIM si perderanno via via con lo sviluppo della propria carriera, raddolcendosi ulteriormente e rientrando comodamente e senza scossoni nel filone classico del gothic (quello pop però). Il disco è di indubbio valore, originale nella proposta e grande prova di forza del gruppo. Se dovessi accostarlo per intensità e valore ad un’altra loro opera forse si tratterebbe della loro terza fatica, “Deep Shadows And Brillant Highlights”: di tutta la discografia dei finnici punto sempre infatti a individuare tra i migliori proprio questi due lavori, tralasciando il (per me) sopravvalutato “Razorblade Romance” ed i vari “Dark Light”, “Love Metal”, “Venus Doom” (disco che riporta un po’ di durezza nei suoni, ma risulta un po’ anonimo salvo per certi momenti un po’ più caratteristici) e l’ultimo “Screamworks”, addirittura solare e incredibilmente melenso.

In conclusione, cari amanti del gothic, se cercato un gruppo senza troppe pretese ma che sappia suonare, creare atmosfere, e confezioni lavori ben fatti, fate vostro a occhi chiusi questo “Greatest Lovesongs Vol. 666” degli HIM: nel suo piccolo resta a conti fatti un buonissimo album.



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