Trent’anni di Tre Allegri Ragazzi Morti, ma andiamo con ordine. Ero in coda per il Neapolis Rock Festival a un passo da Napoli, nel 1999, io e l’ignaro amico guerriero (un uomo dal futuro all’epoca, già praticamente vegano). Sempre antesignanamente, ci viene consegnata una musicassetta originale tutta incelofanata, mentre siamo lì che aspettiamo di entrare per gli Aerosmith. Insomma, ci spammano con materiale da ascoltare. In quella cassetta, non lo sapevamo ancora, c’era una canzone che avrebbe poi segnato la nostra esperienza musicale italiana pop-punk, mia, dell’ignaro amico guerriero e di chissà quanti altri, visione spensierata e diversa, ma tanto tanto comune a tutti noi giovincelli che sbucavamo fuori dalla coda degli Anni Novanta. Insomma in quella cassetta c’era (anche) “Occhi bassi” dei Tre Allegri Ragazzi Morti. Un piccolo miracolo, quella canzone. Fresca, poteva appartenere a chiunque, era come leggere “Jack Frusciante è uscito dal gruppo” in tre minuti. Non era una canzone, era un cartone animato di musica e parole, e non avevo la più pallida idea (come tanti, del resto) su chi fossero questi Tre Allegri Ragazzi Morti e chi fosse Davide Toffolo, salvo bazzicare già il mondo del fumetto. Tanto meno le loro maschere o le altre loro canzoni, nel loro primo vero album nel 1999. Non c’era Internet e io avevo già ancora tanta musica ancora fondamentale da scoprire, figuriamoci se da Bari e dintorni potessi andare a sapere cosa stesse accadendo lì in Friuli, Prozac+ e tutto il resto.

I Tre Allegri Ragazzi Morti poi sono cresciuti, ho scoperto tanto quel mondo di rock a fumetti, così divertente ma anche tanto intelligente e profondo, in verticale e orizzontale. Premo fast-forward e ricordo l’ultima volta che le ho viste dal vivo, quelle maschere: sempre a Bari, era luglio 2005. Un palco piccolo, una vera festa a cielo aperto. Ricordo che pensai che quella band, che suoni in cucina o alla Scala di Milano, sarà sempre uguale, e il risultato sarà sempre un concerto che ti colora la vita. A quel concerto al Parco Due Giugno, c’era ovviamente con me nuovamente l’ignaro amico guerriero, che quella volta pogando – come non avrebbe dovuto – si fece volare via gli occhiali, nella mischia. Il miracolo: a fine concerto, ritrovammo gli occhiali, intatti. Miracolo della musica dei Tre Allegri Ragazzi Morti, dove non muore mai niente e nessuno, nemmeno gli occhiali quando si poga. Fast-forward ancora, tesissimo a rompere il mangiacassette, e sono tornato da poche ore dal concerto di Toffolo e soci al Dingwalls, qui a Londra

treallegriragazzimorti

È il 2024, “Occhi bassi” è del 1994. Sono passati trent’anni, ma non è vero. La loro musica è cambiata, ma non è vero. È solo diventata più completa, un vero almanacco, non un fumettino nell’ultima pagina dell’edizione locale. Iniziano con “Mai come voi” e non credo sia opportuno dirvi necessariamente con cosa finiscono, o tutto quello che fanno. C’è il reggae, c’è il punk, ci sono le maschere. Sempre e comunque, quelle maschere hanno rappresentato tanto, alla faccia di qualsiasi tecnologia, tre maschere che te le potevi ritagliare tra i banchi di scuola o tra le scrivanie in ufficio, ora. Siamo tutti (stati) allegri ragazzi morti, quale nome magnifico, prima o poi, o meglio tardi che mai. Penso che ora per alcuni dei presenti in sala le maschere servono a coprire le calvizie… a proposito della sala, il Dingwalls è ovviamente pieno di italiani, Londra è piena di italiani, non è un luogo comune, anzi lo è… e per questo è piena di gente da tutto il mondo. Toffolo parla in italiano. Ricordo quando a un concerto degli Afterhours, nel 2007, prima che tutto finisse in televisione, qui a Londra all’ora defunto BarFly, Manuel Agnelli si ostinò a cantare in inglese, tra le proteste del pubblico tutto italiano. Lui cantava in inglese e noi in italiano, che situazione ridicola. Stasera invece i Tre Allegri Ragazzi Morti sanno con chi hanno a che fare e se la godono con tanto di dedica finale alla città di Londra e a noi expat. Ma poco prima, lungo il breve tragitto dalla stazione di Camden Town al Dingwalls, noto come la popolazione di Camden, al netto dei turisti, sia in larga misura allegra gente morta. Nessun quartiere poteva andare meglio. La coda fuori mostra come gli anni passano per tutti, anche per gli italiani a Londra, infatti quando alla fine Toffolo fa un rapido censimento, beh, più di qualcuno lì aveva già visti nel lontano 1994, dal vivo.

Il palco è raccolto e bello, tre grosse “facce teschiate” da sfondo, al calare delle tenebre i teschi dei tre splendono nell’oscurità. Spaziano rapidi nella loro discografia, e regalano tutto il meglio del loro passato, occhi bassi e ballate delle ossa e mondi prima, non essendo mai mai mai come voi. Toccano il reggae, toccano il rock schitarrato, danno fiato al punk perché ogni adolescenza continua a coincidere con la guerra, anche dopo più di vent’anni dalla prima volta che la cantarono e ce lo fecero notare, quella brutta verità. Il pubblico si diverte, mi rallegro nell’osservare decisamente meno cellulari del solito. Dopotutto con la loro musica un poco si viaggia pure nel tempo, penso. Me ne rendo conto pure quando il secondo drink al bar, lo stesso drink, mi costa una sterlina di meno del primo, dopo appena mezz’ora. Ennesima magia dei concerti dei Tre Allegri Ragazzi Morti. Ma poi vado oltre e realizzo che, con le maschere che portiamo, qui nessuno è invecchiato sul serio, né loro né noi: come puoi invecchiare se sei morto dal principio? Questa la magia di tutto questo carrozzone. Siamo in dirittura d’arrivo, con Davide Toffolo che non sta mai zitto, e piace proprio per quello: si diverte con noi, anche se nessuno di noi è in pigiamone come lui, nel finale. La serata – in qualche modo indimenticabile – si conclude.

Siamo fuori dal Dingwalls, qui è Londra nel 2024, non Pordenone negli Anni Novanta, non ci sono basi americane nei paraggi ma a qualche miglio da qui ci stanno tutte le ambasciate del mondo, fa lo stesso? Forse fa lo stesso. “Ogni adolescenza” (coincide con la guerra) cantavano i Tre Allegri Ragazzi Morti un bel po’ di anni fa, ripeto. Torno a casa pensando che allegri ragazzi morti lo si è a qualsiasi età, una volta che lo si è stati in passato. Penso che il testo e la rabbia de “Le bugie dei morti” varranno sempre, e quando meno te l’aspetti. Come un fumetto, primo numero o ristampa della decima edizione, i Tre Allegri Ragazzi Morti sono davvero duri a morire, perché alla fine la vita cosa altro non è se non un continuo esorcizzare la morte? Forse ho esagerato stavolta, ok, avete ragione. Che bel concerto, però. Entro in metropolitana, scendo verso London Bridge. Voglio girare il mondo, che il mondo in testa ho, voglio girare il mondo, che il mondo in testa ho.

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