Ciao Aaron e benvenuto su Spaziorock.it, come stai?

Tutto bene, grazie!

Non vediamo l’ora di ascoltare il vostro nuovo album “Primordial Arcadia”, che uscirà il 20 agosto. Vuoi raccontarci un po’ di più sul processo creativo dietro questo disco? Qual è stata la sfida più grande?

Questo album è un grande passo avanti per noi perché è il primo album che abbiamo registrato interamente da soli nel nostro studio, gli Owl Lodge Studios qui nello stato di Washington. In passato abbiamo lavorato con il produttore Randall Dunn, dall’album “Two Hunters” in poi. Abbiamo creato un vasto repertorio insieme a Randall e lui ha contribuito senz’altro moltissimo dal punto di vista creativo in studio. Naturalmente arrivavamo con la musica già scritta e arrangiata, ma in termini di produzione del suono Randall ha avuto un ruolo importante. Quando abbiamo finito di registrare “Thrice Woven” Randall ci ha detto: “Dovreste assolutamente produrre il prossimo disco da soli. Avete una visione molto concreta di ciò che volete ottenere musicalmente parlando e avete tutte le capacità tecniche necessarie. Il vostro studio è praticamente perfetto per voi: avete qualcosa dentro che va espresso e non c’è bisogno che ci sia qualcun altro nello studio. Dovreste esserci solo voi tre”. Una sfida? Beh, sai, registrare è sempre una sfida. Ogni registrazione che facciamo è un viaggio, un calvario, una prova tanto quanto un piacere. Non è proprio come togliersi un dente, ma ci si avvicina molto. Dobbiamo tirare fuori la musica da un posto molto profondo dentro di noi e questo processo richiede molto lavoro, fatica e sangue, sudore e lacrime.

Ci avete dato un assaggio del nuovo album con i singoli “Mountain Magic” e “Spirits of lightning”. Come mai avete scelto questi come primi due singoli dall’album?

Probabilmente oggi non è più così comune nella musica, ma noi facciamo album. Album completi, non solo singoli rilasciati su Spotify, in maniera caotica. Considerando che “Mountain Magic” è la prima traccia dell’album e “Spirits of lightning” la seconda, penso che sperimentare queste due canzoni insieme possa aprire l’ascoltatore al mondo di “Primordial Arcadia”.
I due brani sono abbastanza diversi fra loro. Il primo è un pezzo molto equilibrato e nel nostro stile con qualche nuovo elemento, mentre “Spirits of lightning” è diverso rispetto alle cose che abbiamo fatto finora. Ritroviamo degli elementi industrial e tribali che rendono il brano molto fresco e pieno di nuovi stimoli. In questo senso ci sembrava opportuno dare al pubblico un assaggio della varietà che ritroviamo nell’album; un album abbastanza eclettico. Ci sono due brani che sono molto più espansivi, lenti e cupi, mentre la traccia finale è molto epica e ampia, un po’ come alcuni dei nostri vecchi pezzi. È un album che esplora un sacco di posti diversi, intesi sia come paesaggi interiori che musicalmente parlando.

Per quanto riguarda “Spirit of lightning” ho letto questa vostra bellissima dichiarazione sul fatto che il brano è un omaggio al “Metal come comunità che si è unita attraverso la musica e la spiritualità”. Trovi che la comunità sia cambiata durante tutti questi anni?

Posso parlare solo per i Wolves in the Throne Room, basandomi sulla mia esperienza nella band e nei concerti, con le persone della nostra comunità, i nostri fan e collaboratori creativi: la sensazione è di una connessione più forte e profonda che mai. Anche dopo questi ultimi 18 mesi, con tutti gli stravolgimenti vissuti, sento che abbiamo tutti voglia di condividere la musica attraverso i concerti dal vivo, sudando e sanguinando insieme, meditando insieme, celebrando insieme. Gli eventi live stanno per tornare e stiamo aspettando con pazienza ma allo stesso tempo siamo anche impazienti perché è ora di tornare in Europa, tornare a girare gli Stati Uniti, stare insieme ai nostri amici e alla nostra comunità.

I Wolves in the Throne Room hanno una lunga storia [la band si è formata ad Olympia nel 2003, ndr]. Pensi che il vostro pubblico sia cambiato nel corso degli anni o è piuttosto cresciuto insieme a voi?

Il feeling non è mai cambiato, sin dall’inizio. Penso che la gente sia attratta da una band perché si trova in sintonia forse con qualcosa dentro di noi che stiamo esprimendo, che a sua volta tocca il cuore delle altre persone. Non credo che abbia a che fare con l’appartenenza a una generazione specifica e nemmeno con gli anni di carriera di una band, ma è qualcosa che prescinde dal tempo. Ho sempre avuto la sensazione che i Wolves in the Throne Room siano un’entità, una forza che io, Nathan e Cody in un certo senso abbiamo creato, ma che siamo anche al suo servizio. Forse è proprio questa forza elementare di quest’entità che attira le persone e che fa in modo che si sentano in connessione con noi.

Trovo molto interessante il fatto che secondo te l’approccio delle varie generazioni alla vostra musica non sia poi cambiato molto.

Perché non si tratta solo di musica. Penso che Wolves in the Throne Room faccia parte di una comunità molto più ampia di persone che sono alla ricerca di qualcosa. Vogliamo sentirci in connessione con la terra, con le tradizioni e farle nostre. Non vogliamo accettare ciecamente ciò che ci è stato tramandato senza metterlo in discussione. Vogliamo trovare il nostro percorso in un modo che abbia senso per noi come persone moderne. Viviamo in questo mondo molto futuristico eppure ci sono milioni di persone che si sentono connessi con i luoghi dei nostri antenati e la loro magia. Mi sento ispirato dalle tante persone giovani e vecchie, dai bambini che mi insegnano tantissimo ai più anziani che ho la fortuna di avere come insegnanti e mentori.

Parliamo del video di “Mountain Magic” e della sua magnifica cornice naturalistica che rispecchia molto l’energia del brano. Avete avuto la padronanza completa sulla realizzazione del video come direttori creativi, rappresentando appieno quell’aspetto DIY così fondamentale per il vostro percorso artistico. Puoi parlarci dell’idea e dello storyboard alla base del video? Qual è il mood che volevate trasmettere?

C’è un aspetto molto artigianale intrinseco al video, essendo il nostro primo video. C’è l’aspetto tecnico, ci sono telecamere, hard disk, e sì, anche lo storyboard, le liste di ripresa, le impostazioni ISO… il lavoro più importante è stato quello di bilanciare queste due cose: assicurarci di essere efficaci sul piano tecnico e allo stesso tempo essere aperti alla visione creativa, lasciando che la magia del paesaggio scorresse attraverso questo mezzo. Un linguaggio moderno che consiste nel filmare con telecamere digitali ad alta tecnologia, editare su computer potenti e pubblicare su YouTube, ma rimanendo allo stesso tempo connessi con la natura, le montagne. Per noi è molto importante essere rispettosi di questi luoghi perché sono sacri, pieni di magia, di entità che li abitano e che vanno trattate con rispetto. Questo è ciò che abbiamo cercato di esprimere con il video, mostrando quei paesaggi che sono per noi fonte di ispirazione.

Quanto sono importanti i videoclip per accompagnare un brano?

Beh, personalmente sono davvero entusiasta – e so che anche Nathan e Kody lo sono – di poter lavorare con questo mezzo in quanto appassionati di film e di cinema. La musica è profondamente visiva per noi. Quando sto mixando, componendo riff o registrando, vedo delle immagini, come in un sogno ad occhi aperti. Penso che la maggior parte dei miei testi scaturiscano da immagini che vedo nei sogni e il cinema stesso è una sorta di sogno ad occhi aperti che condividiamo simultaneamente con più persone. Vogliamo sicuramente affinare le nostre abilità in ambito video, per poter esprimere al meglio ciò che vogliamo.

Questo è il primo disco in cui Kody [chitarra e vocals nei Wolves in The Throne Room dal 2017, ndr.] ha fatto parte del processo di scrittura sin dall’inizio. Puoi raccontarci più nel dettaglio il suo coinvolgimento? Vi siete trovati in sintonia?

Questo aspetto rappresenta un grande cambiamento: Kody è stato pienamente coinvolto nei Wolves in the Throne Room come un fratello alla pari, fin dall’inizio. Credo che l’album abbia beneficiato della sua estetica, della sua anima, del suo cuore, dei suoi riff, delle sue idee. È una relazione molto particolare quella con Kody. In passato ci sono stati terzi membri nei Wolves in the Throne Room, specialmente Rick Dahlin, che ha suonato in “Diadem of Twelve Stars” e “Two Hunters” ed è stato con noi sin dagli inizi, contribuendo molto musicalmente. Poi c’è stato il periodo da “Black Cascade”, “Celestial Lineage e “Thrice Woven” in cui Nathan ed io scrivevamo tutta la musica. Kody suonava con noi come turnista ed è stato con noi per così tanto tempo che a un certo ci siamo detti: “oh, cazzo. Kody fa parte della band!” Non è stata una decisione razionale, è successo e basta. Proprio come una cellula che si divide nell’utero, quando da due diventano tre. Una sensazione bellissima, perché Nathan ed io sentiamo di avere un altro fratello nella musica e nello spirito, che è in sintonia con la nostra visione della musica. Non era mai stato così prima d’ora. È un rapporto magico e questa sarà la band fino alla fine, perché è una relazione sacra.

La vostra musica è rispecchia molto le vostre fonti ispiratrici ovvero la forza della natura. Oltre alla musica, quali sono i modi in cui entri in connessione con questa dimensione?

È bellissimo poter fare escursioni in alta montagna. Il nostro studio si trova proprio ai margini di una grande foresta. Viviamo vicino ad Olympia, nel Washington. È una città piuttosto piccola, ma abbiamo la fortuna di trovarci a ridosso di una foresta protetta molto grande e antica. In realtà è di proprietà dell’Università locale: sono 500 acri in cui troviamo alberi meravigliosi, dalla cicuta occidentale al cedro rosso occidentale, l’ontano, l’acero a foglia larga, tutte le altre piante nel sottobosco, ruscelli limpidi che sfociano nel Mar dei Salish. In questo senso, le forze della natura ci tengono compagnia ogni giorno. Ovviamente non ho sempre il tempo per andare in montagna; ho una band e scadenze da rispettare, ho un figlio piccolo e una famiglia, una fattoria. Però posso uscire ogni giorno per andare nel bosco e connettermi con alcuni alberi con cui ho davvero un legame profondo che si intensifica più passa il tempo, perché ho la consapevolezza che loro vivranno più a lungo di me facendomi da guida per tutta la vita.

Finalmente ripartono i concerti e sarete in tour in Europa quest’anno. Ci sono date che aspettate con particolare impazienza?

Non c’è una data in particolare. Essendo il primo tour dopo tanto tempo, so che ognuno di questi concerti sarà molto speciale, perché la gente è in trepidante attesa di vivere di nuovo la musica. Sono stato ad alcuni concerti e feste ad Olympia. Il primo evento era una festa techno durante il Beltane [festività pagana che si celebra tra l’equinozio di primavera e il solstizio d’estate, ndr.] all’aperto, con un enorme falò… le persone si sono scatenate, perché sono pronte a celebrare e festeggiare. Quindi penso proprio che i concerti saranno davvero tutti speciali e non vedo l’ora.

Sarete anche a Milano oltre ad avere moltissime date in Germania. Avete un pubblico molto fedele in Germania?

Sì, la Germania ci ha sempre accolti in maniera calorosa, non so bene perché, ma è sempre stato un posto dove abbiamo un sacco di fan e un sacco di amici, ma amo anche l’Italia, il cibo è davvero buono!

Grazie mille Aaron per questa bellissima intervista. Vuoi lasciare un messaggio ai nostri lettori?

Sì, vorrei dire grazie. Grazie a tutte le persone che ascoltano la nostra musica. Significa così tanto per noi e non vediamo l’ora di vedervi tutti in Italia.

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