Ivano Fossati (Ivano Fossati)
SpazioRock ha partecipato alla conferenza stampa tenuta da Ivano Fossati il 3 ottobre scorso nella splendida cornice del Piccolo Teatro Studio di Milano, in occasione della presentazione del nuovo (e purtroppo ultimo) album "Decadancing", del libro "Tutto Questo Futuro" e dell'imminente tour del musicista ligure. Argomento principale della lunga chiacchierata con la nutrita platea, le dichiarazioni rilasciate da Fossati la sera prima, ospite di Fabio Fazio a "Che Tempo Che Fa", in cui è stata svelata al pubblico l'intenzione di ritirirarsi. Durante la conferenza stampa, ben moderata dal giornalista Massimo Bernardini, Ivano ha potuto spiegare meglio le ragioni della sua decisione, lasciando ai presenti l'immagine di un uomo sereno con se stesso, ormai giunto alla soglia dei quarant'anni di carriera. Vi proponiamo i momenti salienti della lunga conferenza stampa. Buona Lettura.
Articolo a cura di Stefano Risso - Pubblicata in data: 18/10/11

NB: Le domande sono state chieste da altri media durante la conferenza stampa

 

Sono passate all'incirca quindici ora dal tuo annuncio alla nazione del tuo ritiro. Ci hai dormito su, ci hai pensato, ci hai riflettuto, avrai visto i titoli dei giornali stamattina... Non è che stamattina ti rimangi tutto?

Ho dormito benissimo (risate generali. Ndr.). No meglio ancora, sono stato frainteso. Comunque in questo caso è tutto vero, confermo tutto. Posso precisare, è che non vorrei iniziare a ripetere me stesso all'infinito, perchè piuttosto di ripetere e andare in giro a cantare le canzoni di quarant'anni senza aggiungere niente... Insomma ci sono tante cose, tante altre cose, che non ho ancora ben chiare, che posso fare e che farò. Ieri però ho anche precisato una cosa a cui tengo molto, non è la musica che abbandono e non è la musica che abbandona me, tutt'altro. La musica non si lascia, la musica non si abbandona, se un pittore smette di dipingere non smette di essere un pittore, un artista, io voglio studiare, voglio suonare molto, voglio rimanere così appassionato della musica. Del resto è stato il mio mestiere, bello, privilegiato e amato per tanti anni ma al quale molto sinceramente non so se qui a cinque anni sarei in grado di aggiungere qualcosa. Forse sì, ma nel dubbio preferisco divertirmi.

Tu hai detto ieri “quello da cui mi sto staccando è il mestiere della discografia”. Dici anche “dall'attività discografica e dall'avere a che fare con la promozione”. Qualcuno ci ha letto perfino una critica alla tua attuale casa discografica.

Assolutamente, anzi proprio a loro devo questi anni di serenità artistica. Non ho mai avuto grandi conflitti con le case discografiche. In tutti gli anni con la Columbia, Sony, ho avuto al mio fianco un discografico fantastico che era Fabrizio Intra... (applauso della sala per il manager scomparso nel 2002. Ndr.) Essì, al quale di sicuro devo qualcosa. E dopo, una volta approdato alla EMI, nuovamente ho potuto fare il mio lavoro nel modo migliore, quindi conflitti con loro non ce ne sono. Poi è chiaro, non si può dare sempre la colpa ai discografici, il mercato è quello che è, l'abbiamo fatto diventare tutti quello che è, non è soltanto in Italia che siamo in questa condizione, quindi sei un po' tu che determini le tue fortune artistiche. Anche se la tua casa discografica non ti capisce bene, non lavora bene con te, io credo che se hai talento riesci a superare anche questo e riesci a farti capire anche da loro. A me è sempre successo così, ho avuto delle difficoltà iniziali ma col tempo, piano piano, ci siamo messi d'accordo. E questo è successo anche in questi anni con la EMI.

ivanofossati_conferenzastampa_01Ho sentito la tua intervista di ieri, due cose: quindi continuerai a scrivere canzoni, perchè quello non l'hai escluso, quindi puoi scrivere per qualcun altro oppure lasciarle lì per futura memoria. E poi a questo punto, solo poco tempo fa, era stato Vasco Rossi a dire “mi dimetto”. Ci trovi qualche analogia?

Mah ci trovo analogia... Quando venne fuori la notizia di Vasco Rossi io ero a Londra, stavo registrando questo disco, ricordo una mattina, acceso il computer e ho visto questa cosa. Il primo pensiero che ho avuto è che, in ogni caso, una decisione così merita rispetto. Perchè nessun artista, o sarebbe meglio dire nessun uomo, decide una cosa del genere con leggerezza. Quindi ho subito pensato che esattamente come me, avrà avuto i suoi motivi profondi per farlo. C'è stato in me subito un moto di rispetto. Sulle canzoni da scrivere... Tu dici bene. Se tra un po' di tempo dovesse capitarmi di scrivere una canzone, non mi metterò probabilmente più a scrivere dieci canzoni alla volta come per un album, ma se mi capiterà di avere in mano una cosa di quelle che non meritano di stare in un cassetto e che meritano di uscire, allora in quel caso magari telefonerò a qualche mio amico artista, o qualcuno mi farà una telefonata e mi chiederà: “Ivano mi piacerebbe cantare una tua canzone”, certo! Basta non esagerare, sennò altrimenti ricomincio da capo e se c'è una cosa che non mi piace è l'idea di uscire dalla porta e rientrare dalla finestra, questo è escluso dalle mie intenzioni.

A me la notizia di ieri ha sorpreso fino a un certo punto, perchè ricordo una tua vecchia intervista del 2001 in occasione di un tuo disco bellissimo intitolato “Not One Word”, che è passato quasi inosservato rispetto ai lavori di stampo più tradizionale, e già lì ti lamentasti abbastanza apertamente di un tuo modo di fare musica, che avresti preferito esplorare diversi lidi, come appunto quell'album strumentale di stampo elettronico. Non è quindi che questa tua decisione in realtà è maturata nel corso di un decennio e non è stata una cosa legata ai pensieri degli ultimi mesi?

Questa decisione è maturata, per essere precisi, nell'arco degli ultimi due o tre anni. L'episodio di “Not One Word” era diverso. Lì volevo misurarmi con qualcosa che non avesse le parole, mi sembrava un mare vasto. Voi sapete che io ho sempre insistito sul fatto che si parla tanto di parole e poco di musica, in quel caso fu la Sony Classical che mi offrì l'opportunità di fare un disco di sola musica e io ho voluto misurarmi con quella cosa. In quel momento, confesso, che mi è sembrata un'operazione meravigliosa, quindi mi sono anche lasciato andare a qualche dichiarazione... “non scriverò più testi per canzoni, ma solo sinfonie”... Invece l'effetto fu il contrario, dopo aver fatto quel disco ed esserne contento, perchè non so cosa ne pensiate, ma per me è una delle cose più belle che ho fatto, mi sono re-innamorato delle canzoni, re-innamorato di questo modo apparentemente semplice, apparentemente spicciolo di dire le cose.

Visto che parli di canzoni, c'è una cosa in questo tuo libro... a un certo punto dice proprio Fossati: “La musica è finita, è semanticamente vero. Le possibilità armoniche per la musica pop sono veramente finite”. È la stessa cosa che sostiene un tuo coetaneo che si chiama Sting.

È una cosa che sostengono moltissimi musicologi. Ci sono persone più attente e molto più preparate di me che ipotizzano l'avvento di una musica 2.0, che sarebbe come dire tabula rasa e si ricomincia da capo. Io sono abbastanza d'accordo con questo, perchè le formule della musica pop, almeno dalla fine degli anni 50, se non vogliamo dire addirittura dai bluesman, sono sempre le stesse. Quello che è cambiato è il suono. Dicevamo ieri, che se provi a spogliare le costruzioni armoniche dei gruppi che conosciamo, anche dell'ultima ora o dell'ultima settimana... le costruzioni sono quelle, è il suono che le fa apparire così attuali. Ci sono gruppi che io adoro, come i Kasabian, il gruppo che amo veramente di più oggi, e beh... loro hanno delle costruzioni armoniche che in certi momenti ricordano i Beatles addirittura, eppure appaiono futuribili questi ragazzi, ma lavorano su schemi armonici che sono la triade che si usa da Mozart a oggi, sulla tonica, terza e quinta e ci sono poche possibilità di uscire. Tranne per la musica seriale, ma quello è un altro campo, io mi limito a parlare della musica pop. Allora quando qualcuno dice che le possibilità della musica sono finite, io non mi scandalizzo, non penso che sia un pazzo, penso che sia uno cosciente del fatto che stiamo ripetendo molte cose e che molte soluzioni di successo di oggi per cui molti ragazzi, giustamente, si innamorano, però io che ho sessant'anni le ho già sentite. Ed è normale, non è una critica, non è niente, ma qualcosa bisognerà fare.

 

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Ritornando al presente, volevo chiedere riguardo il pessimismo cosmico che traspare da “Decadancing” nei confronti di questo paese, sull'idiozia imperante, che mi ha ricordato un po' l'ultimo Gaber di “Destra e Sinistra”, ma soprattutto quello di “Io Non Mi Sento Italiano”. Volevo chiedere se questo pessimismo è veramente cosmico e secondo, quanto questo sconforto che hai descritto nel disco ha influenzato la decisione di smettere, sono correlate le cose o no?

No, credo che non siano correlate. Avrai visto che io racconto diverse cose nel disco, però sono stato attento a terminarlo, la decima canzone, con un brano che si chiama “Tutto Questo Futuro”, ed è una canzone assolutamente piena di speranza. Non mi sarei mai sognato di terminare un lavoro del genere, andando in giù. D'altro canto “La Decadenza” è una canzone quasi gioiosa, una canzone ironica, anche quello è un tema che non mi sento in grado di portare in fondo se non sorridendo. Tutto il resto, quello che si vede tra le righe, sono le riflessioni di uno che non ha vent'anni. Poi c'è una riflessione che mi sembra bella: quello che conta è esserci. Ci sei o non ci sei. Sì, si può essere pessimisti nei confronti di certe cose, non di tutto, ma quello che conta è ci sei tu, o non ci sei? O ci sei o sei un fantasma. Ti lasci portare via dalla corrente del fiume in piena o ti attacchi a un ramo e ti salvi? Io se posso mi attacco e mi salvo. Quindi anche quello che è contenuto in questo disco non è un pessimismo cosmico, è quello che ho visto ma che deve essere separato dalla volontà di esserci, la volontà di non essere un fantasma in questa società, come dice questa ultima canzone, “di vedere il futuro e di vedere il bello”. Concludo dicendo: “non piove nemmeno più, forse possiamo vedere lontano”.

La scelta di un titolo come questo, la decandeza negativa e il dancing positivo. La spieghi?

Con la stessa volontà che c'è nella canzone “La Decadenza”. Cioè conosciamo la situazione, conosciamo quello che abbiamo intorno, però dobbiamo riuscire a sorriderne e reagire, quindi in qualche modo ballarci sopra. E mi piaceva l'innesto di queste due parole, che sono veramente contrarie, Quando ho terminato le canzoni nessuno le aveva ancora sentite. Quando ho comunicato che il possibile singolo di chiamava “La Decadenza” si sono spaventati tutti, perchè avevano immaginato una canzone tristissima, ho visto proprio della facce illividirsi. Infatti ho preparato subito un demo dicendo: “Tranquilli, tranquilli, è questo”. Appena messo nello stereo, si sono tranquillizzati. Perchè è partito con l'idea di trattare l'argomento della canzone e del titolo dell'album in questo modo, una sorta di mio personale equilibrio.

Pensando a quello che hai detto ieri, penso che sia una cosa che nessuno abbia mai fatto. Nel senso: Battisti dice che molla, ma continua a fare dischi con un altro autore, Mina dice che molla ma continua a fare dischi, Vasco dice che molla ma poi non molla anzi pubblica subito dopo un singolo nuovo. La mia impressione è che quando tu hai concretizzato il tuo “lascio”, che poi ha anche dei virgolettati, hai pensato al fatto che devo lasciare in un modo mio, non posso fare una cosa a metà, perchè anche lì i distinguo sono importanti.

Non posso fare una cosa a metà si perchè, non in confronto agli altri, perchè non si fa. Se si decide una cosa si fa quella, altrimenti si sta zitti e si continua a fare quello che è il tuo mestiere. C'è un artista che ha fatto una cosa simile molti anni fa che è Renato Carosone. No, non ho pensato di distinguermi dagli altri, ho pensato a fare quello che mi pareva giusto. Dirlo in questi mesi ai miei amici, ai miei collaboratori è stata una cosa, ma dirlo ieri davanti evidentemente a qualche milione di persone, è stata un'altra cosa, perchè in quel momento io l'ho detto a me. Non solo perchè in quel modo non si torna indietro, io lo sapevo che non si torna indietro, l'ho ponderata questa cosa, ma c'è un momento, uno scatto che quando quella cosa ti esce dalla bocca deve essere vera. Ognuno ha fatto quello che riteneva giusto, sono cose che meritano grandissimo rispetto, come ognuno le faccia, perchè non sono scherzi, perchè nessuno fa questo per mettersi in mostra, nessuno prende una decisione così per farsi pubblicità, no... è una cosa che io rispetto.

ivanofossati_conferenzastampa_04A questo punto come ti senti?


Bene (risate della sala. Ndr.). La verifica di questa decisione è che tutte le volte che ci pensavo, questa cosa mi dava serenità, non c'è stata una sola volta che mi ha messo una minima ansia. Allora per me questa è stata la prova, nell'arco di due o tre anni, che mi faceva stare bene. In ogni caso mi faceva stare sereno, che è diverso che stare bene, mi faceva dormire bene, mi sembrava che confermasse, mese dopo mese, che era la cosa giusta. Per questo ho risposto subito di botto bene.

Parlando di musica e di musicisti, stupisce il fatto che tu voglia anche smettere di suonare, di fare concerti. Ci sono musicisti che sì smettono di fare dischi, ma che continuano a esibirsi.

Sembrerà curioso, ma io voglio suonare molto, ma non mi servono i concerti, mi basta studiare. Io credo che continuerò a studiare moltissimo. L'ho fatto negli anni, quando ho cominciato la mia carriera sapevo suonare il pianoforte benino, poi l'ho studiato per altri sei anni e negli anni novanta lo sapevo suonare molto meglio. E adesso sto studiando ancora, e ora che non dovrò più fare dischi studierò ancora di più. Ti mi dirai perchè? Per me stesso. Non è che ci sia sempre bisogno di dare spiegazioni. È chiaro che se tra cinque anni, un artista che stimo, mi chiedesse... cantare non se ne parla, ma mi chiedesse: “Ivano vieni a fare un assolo di chitarra”... ecco magari sì.

Maturando negli ultimi anni la decisione del ritiro, non hai pensato a quei jazzisti che salgono sul palco a ottant'anni con una profondissima dignità e non si pongono minimamente il problema?

Penso che sul palco a ottant'anni ci stanno bene solo i jazzisti e i bluesman, gli altri un po' meno. Quindi, siccome io non faccio né l'uno, né l'altro, la risposta è già quella che ho dato... L'ho fatto per tanti anni.

Ma tu vuoi che di te si perdano le tracce? Vuoi che non si parli più?

Mah non lo so. Mi ricordo di tanti anni fa, io più di una volta ho detto che sarei stato più contento e appagato che le mie canzoni fossero molto più conosciute di me. E questo lo dicevo quando avevo trent'anni, lo dicevo trent'anni fa. Evidentemente è ancora un po' così, sono contento della mia musica, mi piace quando vedo che gira, quando mi comunicano che le mie canzoni sono arrivate in ventidue Stati diversi, e comunque sono là che circolano, poco o tanto, ecco questa è una cosa fantastica per un autore. Ma sono contento così e mi piace, qualche volta mi è capitato di entrare in un locale e sentire alla radio e dire: “accidenti quella è mia!”. Ma non mi importa assolutamente niente che lo sappiano, mi piace che questa musica cammini. Quindi mi chiedi: “Vorresti che si perdessero le tracce?” No, spero che non succeda. Torno a ripetere, quarant'anni di carriera sono tanti, se qualcosa deve restare resterà e se invece deve andare diversamente, va bene ugualmente.




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