Christadoro (Mox Cristadoro)
Abbiamo avuto il piacere di confrontarci con Mox Cristadoro, mente e batterista del neonato progetto Christadoro, super-gruppo prog che si è caricato del difficile, quanto ammirevole, compito di rielaborare e "rivitalizzare" brani dei più grandi ed importanti cantautori nostrani. Abbiamo colto l'occasione dell'uscita del suo primo disco per toglierci qualche sfizio su cosa c'è dietro il suo progetto e su quali altre incredibili forme potrebbe prendere in futuro.
Articolo a cura di Giovanni Maria Dettori - Pubblicata in data: 27/04/17
Ciao Mox, benvenuto su SpazioRock.it! Ho avuto il piacere di poter recensire il tuo primo disco: “Christadoro”. Trovo che si tratti di un progetto che riscopre la bellezza del nostro cantautorato attraverso l’espressività del vostro progressive rock, stupendo un acuto ascoltatore, a mio parere, fin dal primo ascolto. Come e quando è nata questa idea? E' un'iniziativa degli ultimi anni, soprattutto per Mox, o è da considerarsi come la realizzazione di un sogno che si custodiva da tempo?
 
 
Per decenni mi sono cimentato alla batteria in svariati contesti e, trattandosi di una pulsione personale, ho creato e gestito questa prova anche “da regista” che, per la prima volta, indossa sostanzialmente il mio nome. Non essendo autore di testi e partiture, ho semplicemente assemblato un super-gruppo, rivolgendomi subito a Fabio Zuffanti (amico musicista con cui condivido enormi affinità sul piano  artistico e culturale), mentre il cantante designato da sempre è Andrea Dal Santo, in arte Mitzi, il cui carattere eclettico, oltre a un indubbia capacità vocale si è dimostrato imprescindibile in un lavoro come questo.  Il chitarrista Pier Panzeri e il tastierista Paolo “Ske” Botta sono invece conoscenze più recenti, dopo averli visti in azione rispettivamente col “nuovo” Biglietto per l'Inferno e con Yugen o Not a Good Sign. Ho proposto anche a loro quest'idea di rielaborazione che mi aveva “illuminato” e in tutti i casi le percentuali di entusiasmo e curiosità sono state di gran lunga superiori a quella del dubbio. Così, affrontata la questione logistica (proveniamo tutti da cinque luoghi diversi del Nord Italia), siamo entrati in sala prove nel  gennaio 2016.
 
 
Quanto è stato difficile riuscire a conciliare il vostro sound, le vostre influenze e provenienze musicali con un genere aperto a contaminazioni, ma d'altro canto estremamente autentico, e secondo alcuni “intoccabile”, come quello cantautorale italiano?
 
 
Ora è necessario considerare la procedura seguita nel fornire ai musicisti e compagni di viaggio le direttive: ho sottoposto loro tutte le tracce prescelte in versione originale, seguite da una rosa di brani (stranieri, ma che non sveleremo) da cui attingere i “nuovi vestiti”.  Si è trattato di qualcosa di realmente stimolante, al punto che il suono complessivo della band è sorto in parte da queste mie intuizioni, quasi tutte Rock di matrice britannica anni '70, e il resto in studio di registrazione durante il periodo estivo, con il fondamentale apporto di un'altra conoscenza di vecchia data, Livio Magnini, nel prestigioso ruolo di produttore artistico dietro al banco di regia. Sulla questione intoccabilità, chi ascolta il disco comprende quanto amore e che dose di rispetto per le scritture originali siano stati applicati nel nostro metodo, che prevede solo un, più o meno drastico, mutamento di linguaggio espressivo.
 
 
Le vostre scelte rispecchiano un gusto ed una conoscenza molto profonda del panorama musicale nostrano, con alcuni brani che non risultano particolarmente conosciuti al pubblico (penso allo “Stambecco Ferito” di Antonello Venditti o a “L’Operaio Gerolamo” di Lucio Dalla in particolare). Si è trattato di voler far rivivere alcuni elementi della bellezza nascosta di questo genere, da alcuni ritenuti solo “momenti di sperimentazione” rispetto magari al successo di altre canzoni, o a guidarvi è stata anche l’affinità di determinati brani con il vostro stile e con la direzione che volevate prendere con il vostro primo album?
 
 
Un'affermazione di Richie Havens che ho deciso di inserire nella copertina interna dell'album, riassumibile in “eseguo solo canzoni che mi commuovono...” esprime chiaramente il criterio adottato nelle scelte della scaletta.  Resta ovvio che il filo conduttore di base sia attingere gioielli dalla migliore espressione della più creativa e storicizzata scuola cantautorale italiana, a cui molti appassionati associano il loro percorso di crescita, o comunque di ascolto (compreso il sottoscritto). Sommando un incontenibile desiderio di divulgazione relativamente ad opere immortali, che sarebbe un autentico delitto dimenticare, si conferma la tua ipotesi di voler rinnovare la loro vita.  Mi è sembrata una strada giusta da intraprendere e forse anche un po' “doverosa”... nonostante il rischio che il nostro stravolgimento degli arrangiamenti, comunque estremamente sincero e rispettoso, ci potesse far correre al cospetto dei puristi.
 
 
mox_cristadoro_radiocityScorrendo la tracklist del vostro disco figurano nomi diversi, non soltanto di cantautori, che mostrano la voglia di ridare colore anche a pagine più “pop” e moderne della musica italiana. Quali sono gli autori a cui personalmente vi sentite più legati e che vi hanno segnato di più, magari anche tra quelli che avete avuto l’onore ed il piacere di conoscere?
 
 
Individualmente, la nostra presenza in ambito musicale sussiste da svariati anni: ognuno di noi ha avuto, oltre che influenze, diverse frequentazioni a vario titolo. Posso solo parlare per me in particolare che, oltre all'esperienza da musicista, avendo la fortuna di essere un intermediario culturale, tra comunicazione radio e scritture ho incrociato infiniti musicisti e autori coi quali ho  vissuto momenti di confronto (e per me apprendimento), a volte emozionanti e indelebili. Per dare solo qualche nominativo, tra gli stranieri conosciuti ci sono Steven Wilson, Ian Anderson, Steve Hackett, Jon Anderson, Fish, Serji Tankian, Ian Paice o il superlativo Keith Emerson...  Ma la maggior condivisione sussiste con i connazionali: i “Premiati” (PFM), Alberto Radius, Eugenio Finardi, Patrizio Fariselli, Baffo Banfi - Pilly Cossa e Mauro Gnecchi del Biglietto Per l'Inferno, Vincenzo Zitello, Garbo, Vittorio De Scalzi, Claudio Simonetti, Bernardo Lanzetti, Di Giacomo e Nocenzi del Banco. Ricordo anche volentieri Roberto “Freak” Antoni, Claudio Rocchi, oppure Alberto Camerini, Michele Zarrillo e un elevato numero tra gli altri protagonisti delle scene italiche, siano esse Progressive, Pop, Punk, Metal, Folk, Dark..  Ci sono infine significativi ricordi connessi agli autori dei brani del nostro disco, come Ruggeri, Baglioni, Vecchioni, persino l'immenso Gaber. Tuttavia la menzione speciale va a chi ha scritto ed eseguito il brano più ingombrante sul nostro esordio: Antonello Venditti, dimostratosi un uomo di grande cultura e sensibilità, che ha particolarmente apprezzato il nostro lavoro.
 
 
Il vostro disco d'esordio unisce due elementi ad oggi ingiustamente passati in secondo piano: il progressive rock, che in Italia riesce comunque a ritagliarsi la sua fetta di pubblico, ed il cantautorato italiano. Quest’ultimo in particolare, nonostante si sia persino insistito per farlo studiare nelle scuole, non riscuote spesso la fortuna che merita e si sta lentamente “impolverando”. Con tali premesse, purtroppo, nonostante l’elemento sociale e “popolare” di questo genere c'è il rischio che il vostro rappresenti di fatto un esperimento “d’élite”. C’è un pubblico al quale avete pensato per il vostro disco, e se doveste immaginare qualcuno che tiene fra le sue mani il vostro CD chi vi piacerebbe fosse?
 
 
Rendendosi conto di quanto sia ovvio rispondere “chiunque”, semplicemente perché la musica si suddivide in solo due macrocategorie (quella “buona” e quella “non buona”), posso affermare che l'iniziativa è stata in parte ispirata da una strepitosa band di amici, chiamata Calibro 35.  Loro si sono occupati, proponendone una vincente elaborazione, di un'interessantissima fetta del nostro bagaglio musicale: i temi cinematografici con stili ormai poco conosciuti e poco considerati dalle generazioni successive, destinati pertanto a un'élite. La logica da noi applicata è esattamente la medesima, solo che il repertorio italiano a cui ho rivolto il mio interesse è quello egregiamente scritto e cantato da interpreti “inarrivabili”, quanto famosi. Per rispondere meglio alla  domanda, direi prioritariamente un pubblico “under 40”, ossia di giovani... Senza prescindere inoltre, visto il linguaggio adottato volutamente Hard e psichedelico, dalla questione geografica: il nostro disco malgrado sia interamente cantato in lingua italiana risulta esportabile ovunque. Queste sonorità non conoscono confini, quantomeno nel Mondo occidentale...
 
 
Nella realizzazione di “Christadoro” avete avuto la fortuna di poter collaborare con chi questo genere non lo ha solo visto nascere, ma ha anche contribuito in maniera diversa a darne forma, su tutti Franco Mussida, storico chitarrista della PFM. Quanto e come tutto questo vi ha aiutati, anche solo da un punto di vista progettuale e motivazionale? Cercherete ancora collaborazioni di questo calibro per il vostro futuro?
 
 
Ora che, da diversi anni, i dischi non si vendono più, i cosiddetti “featuring” non rappresentano solamente un obbligo di mercato, o ancor peggio una moda, ma conferiscono un'identità più definita ai progetti. Ognuno dei personaggi interpellati per i camei di questo album è tutt'altro che casuale, infatti sul piano artistico con tutti e quattro sussiste un rapporto emotivo e mentale. Adoro l'intervento al pianoforte di Pilly Cossa del Biglietto sulla coda de “L'operaio Gerolamo”,  della voce di Garbo sull'intro de “Il Sosia” e dei violoncelli di Zeno Gabaglio ad aprire con grande pathos “Solo”.  Mentre Franco Mussida è indubbiamente un musicista iconico per la nostra nazione, ma è soprattutto uno dei chitarristi che identifica al meglio il mio gusto. Avendo il privilegio di un' amicizia e stima reciproca, il fatto che lui abbia offerto un suo frammento in chiave acustica, su questo primo disco dopo la sua fuoriuscita dalle file di PFM... è per noi motivo di immenso orgoglio. Nel mio caso le collaborazioni sono frutto di rapporti reali, pertanto anche per attività future saranno sempre ipotizzabili.
 
 
Guardando sempre in un’ottica prossima, per quanto ora vi auguriamo di godervi tutti i frutti del vostro presente lavoro, quale forma vorreste dare al vostro progetto musicale un domani?
 
 
Bella domanda. I sentieri percorribili sono parecchi, credo tuttavia che proseguire sulla linea della reinterpretazione drasticamente rimodulata sia ancora molto utile, anche perché il repertorio sfruttabile non solo è copioso, ma altresì emozionante. Sarebbe interessante, ad esempio, ragionare anche in termini femminili, sempre al riguardo della forma canzone. Oppure di “altri generi” eccellenti in Italia, da rielaborare in maniera antitetica...
 
 
Sperando di vedervi presto salire su quanti più palchi possibili, per far scoprire a tutti questo piccolo gioiello, quali sono le tracce che credete rendano più dal vivo? E soprattutto cosa sperate di suscitare nel pubblico che sarà presente ai vostri live?
 
 
A causa di un problema interno, ormai in via di risoluzione, al momento della presente intervista, i Christadoro non si sono ancora esibiti su un palco. L'efficacia dal vivo di una scaletta di brani molto particolare resta dunque un'incognita, quindi un aspetto che noi stessi dobbiamo ancora sperimentare. Dovrebbe rassicurare il fatto che ognuno dei cinque elementi vanti una certa esperienza professionale. Dal mio punto di vista, l'auspicio è sempre quello di destabilizzare quanti seguono la performance, anche perché con un repertorio così importante (visto chi lo ha scritto...) se ciò non dovesse accadere sarebbe una sorta di fallimento. Purtroppo, con questa posta in gioco... non abbiamo scusanti.
 

Se poteste scegliere, quale sarebbe la cornice ideale per la vostra prossima esibizione?
 
La cornice ideale è sempre un luogo in cui non sia prevista luce solare, a meno che non si tratti di ultimi barlumi d'un tramonto... giusto per contornare le prime note. In verità si partirebbe come prassi dai piccoli club, benché, per quanto sia banale affermarlo, un contesto teatrale risulterebbe perfetto, e non mi riferisco solo alla questione acustica ma anche estetica.  Credo non disdegneremmo, anzi ci esalterebbero, ambienti evocativi come chiese sconsacrate, o Templi... nonostante la possibile presenza di riverberi sonori che potrebbero risultare poco gestibili.
 
 
E’ stato un piacere Mox! Vi auguriamo il meglio e speriamo di potervi ascoltare dal vivo il più presto possibile!
 
 
Grazie infinite, Giovanni.




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