Eliza Doolittle (Eliza Doolittle)

Eliza Doolitte, cantautrice londinese, sbarca in Italia per presentare il suo nuovo album, "In Your Hands": concentrato di esperienze e di vita. E ripensando alla rottura della relazione che ha ispirato gran parte delle canzoni ammette, sorridendo: "Il mio dolore è la mia ricchezza".

Articolo a cura di Paola Marzorati - Pubblicata in data: 27/01/14

“Big When I Was little” è il titolo di una delle canzoni del suo nuovo album, “In Your Hands”, in uscita in Italia domani, 28 gennaio. Ma sembra essere anche qualcosa di più, la descrizione perfetta di un’artista che è in grado di mostrarsi grande pur rimanendo piccola, matura pur essendo così giovane, un perfetto compromesso tra passato e presente, con quello stile vintage e la voglia di scrivere musica sempre nuova ed innovativa. Eliza Doolittle, la giovane londinese che ha infiammato l’estate 2010 con “Pack Up”, “Rollerblades” e “Skinny Genes”, è un concentrato di allegria, di quella contagiosa, simile solo al calore del sole quando è inaspettato, a Londra come a Milano, e non solo. E’ tutto quello che il suo ultimo album racconta: la gioia del successo, l’amore per la musica, il dolore per una rottura e la voglia di guardare avanti, nonostante tutto.

 

eliza_doolitle_intervista_2014_02Colorato, onesto, caloroso”. Queste sono le parole che Eliza sceglie per descrivere il più sinteticamente possibile il suo secondo album, “In Your Hands”, che ha iniziato a scrivere nel settembre 2011. “Penso che questo album sia molto diverso dal primo; ci saranno sempre dei punti fermi nella mia personalità ma alcune cose sono cambiate nel corso degli anni. Quand'è uscito il mio primo album ero molto giovane e non avevo avuto molte esperienze di vita alle spelle, così ho scritto semplicemente in modo onesto di quello che sentivo. Nel secondo album ho raccontato più esperienze di vita, il mio cuore ha sofferto; come tante persone della mia età ho sperimentato molte cose per la prima volta e volevo essere onesta nel parlarne, volevo dare un’idea complessiva dei miei ultimi due anni. Mi sono messa più in mostra rispetto a prima, ho esposto le mie idee. C’è un lato divertente ma il resto dell’album è un viaggio completamente diverso”.

Sorride Eliza, mentre racconta della relazione troncata proprio durante il processo di registrazione dell’album, il momento di rottura di un equilibrio molto sottile, che ha fatto scaturire due delle canzoni più importanti del disco: la title-track “In Your Hands” e la sublime “No Man Can”. “Queste due canzoni sono nate dallo stesso schema mentale, ma con la prima sono andata ad esplorare la mia debolezza. Credo sia importante ricordare anche i momenti in cui ti sei sentito debole, per questo la canzone dà il titolo dell’album. Con “No Man Can”, invece, ho provato ad essere la persona che avrei dovuto essere, pur provando gli stessi sentimenti descritti in "In Your Hands". Quando l’ho scritta pensavo “questa è la persona che voglio essere”, tutto quello che ho imparato da questa esperienza è racchiuso in questa canzone”. Cadere e rialzarsi. Una lotta continua tra il proprio lato pessimista e quello ottimista. In Eliza ha vinto quello ottimista, assicura. E lo si può sentire nella sua voce, un’esplosione calda di colori, come le tele degli espressionisti, mentre racconta della sua famiglia, dei suoi otto fratelli, della sua casa a Camden Town, di quando a 15 anni (“probabilmente un po’ troppo presto”) girava per i club di Londra e di quanto a 18 ne fosse già stanca, tanto da preferire stare a casa con un bel disco tra le mani. E’ come se il passato non la lasciasse mai, come se le fosse compagno, non un fantasma, come un amico da cui si può sempre imparare.

E un po’ di passato lo porta anche addosso, nei vestiti anni novanta che tanto ama, maglie colorate e pantaloni sdruciti, come la musica di quel periodo e la sensazione fisica di avere un disco tra le mani, sempre più rara in un mondo digitale. “Sono una fan del disco fisico, ma ultimamente sto scaricando molto, semplicemente perché è molto comodo. Dovrebbero inventare qualcosa come una stampante 3D, con cui stampare a casa il disco vero e proprio, con cui stampare anche l’artista che potrebbe cantare nel tuo salotto!”. Molti sono i dischi che Eliza ha ascoltato e da cui ha preso ispirazione: hip hop, R&B, rock classico, rock anni settanta, anche se “quando scrivo canzoni non cerco di fare qualcosa di particolare, voglio solo che vengano da un posto molto naturale, onesto, vedere semplicemente come viene fuori”. Molti gli idoli musicali, soprattutto donne, tra cui spicca Beyoncé, che con gli occhi che brillano di ammirazione e forse anche un po’ di emozione racconta di aver incontrato ad una sfilata – “mi sono comportata proprio come una fan sfegatata”, ammette tra un sorriso e l’altro. Una fan di Beyoncé che ancora non sente di essere famosa (“Sono sempre me stessa, l’unica differenza sta nel fatto che viaggio molto e spesso mi manca la mia famiglia”), che ama la moda, il calcio e fare l’amore (“Quando non sto facendo musica di solito faccio l’amore”, ammette ridendo). Ma, soprattutto l’onestà.

eliza_doolitle_intervista_2014_03Onestà sembra essere la parola chiave non solo di questo suo ultimo lavoro, ma di tutto il suo essere. Eliza ripete continuamente quanto sia importante per lei essere onesta, nella sua musica e nella vita - “Agisco in nome dell'onestà, sto cercando di essere il più onesta possibile”. E ascoltandola parlare, mentre gesticola un po’ con le mani piene di anelli come se cercasse di dare una forma concreta al groviglio di pensieri nella sua mente, o ascoltandola cantare nel suo ultimo album, è proprio questa la sensazione che si ha: quella di avere di fronte una persona che vuole essere vera, con le proprie vittorie e le proprie sconfitte, che si impone di essere grande anche quando si sente piccola, schiacciata tra sentimenti contrapposti.

 

Il suo ultimo album è appena uscito, ma Eliza già pensa a collaborazioni future, al prossimo progetto, nel quale “di sicuro vorrei degli arrangiamenti con gli archi”, un prossimo lavoro che si spera non debba pagare un debito così grosso alla sofferenza. “Basta guardare il telegiornale per essere sommersi di emozioni. Penso che la grande arte sia un riflesso di ciò che ci circonda, delle nostre reazioni rispetto alla realtà di ogni giorno. A volte puoi scrivere delle canzoni felici, che parlano di una bella giornata. Se una canzone del genere ha il poter di far stare bene una persona, allora è una canzone tanto bella quanto una del tipo “Oh,no, sto morendo!”. Devi avere un equilibrio come persona, perché non ti sentirai sempre in un solo modo”. L’arte viene da molti posti diversi, alcuni dei quali non sapevi nemmeno di avere nel tuo corpo, piccole isole che galleggiano su un oceano di sentimenti familiari, deserte fino a che ne vieni catapultata sopra e le scopri, come un inesperto Cristoforo Colombo. Ma non è importante la strada che hai seguito per arrivare lì, a quelle isole non segnate sulla mappa, ma quello che ti ha condotto lì, capitano invisibile di una veliero di carne, ossa e sangue. “Tutti chiedono “come sei entrata nel mondo della musica? Come sei entrata nel mondo dell’arte? Come sei entrata nel mondo di qualunque sia la tua passione?” Penso che il segreto stia nel capire come tutte cose sono entrate dentro di te e come tu non possa fare nient'altro che quello. Se è questo ciò che sei nulla potrà fermarti”.

E nel sorriso con cui ci saluta, con un bel “ciao” scandito perfettamente in italiano, è chiaro che non ha nessuna intenzione di fermarsi, di lasciare che qualcosa la fermi. Perché adesso sa di essere grande, anche quando si sente piccola.




Intervista
Anette Olzon: Anette Olzon

Speciale
L'angolo oscuro #31

Speciale
Il "Black Album" 30 anni dopo

Speciale
Blood Sugar Sex Magik: il diario della perdizione

Speciale
1991: la rivoluzione del grunge

Speciale
VOLA - Live From The Pool