John Garcia (John Garcia)
Il padrino dello stoner rock in persona, John Garcia, ci ha parlato del suo ultimo album di inediti, un album acustico che contiene anche rivisitazioni di alcuni classici dei suoi leggendari Kyuss. Una chiacchierata che ha unito Italia e deserto della California.
Articolo a cura di Isadora Troiano - Pubblicata in data: 02/03/17
Ciao John e grazie per essere qui con noi. La prima domanda che voglio farti è ovviamente sul nuovo disco e sul perché tu abbia scelto di fare un disco acustico?

 

Figurati, grazie a te. Perché un disco acustico, mi chiedi? Semplicemente perché volevo farlo, sai, non è qualcosa che avevo nella lista di cose da fare in assoluto o che ho voluto fare perché ormai sto diventando vecchio, ho deciso di farlo perché lo volevo, perché ho pensato che fosse interessante e che fosse una bella sfida. Per me, fare musica è molto basato sulla diversità, sul mettersi in gioco e per mia grandissima fortuna ho la possibilità di farlo, sai, di mettermi lì e cantare, scrivere insieme a persone che stimo e rispetto come Ehren (Groban, chitarrista della sua band ndr) e quindi è semplicemente qualcosa che ho fortemente desiderato fare e in cui mi sono lanciato. Non è stato così facile come pensavo, te lo confesso, ma ce l’abbiamo fatta e devo dire che ci siamo divertiti moltissimo. Ho apprezzato molto cantare in acustico scrivere con il fine ultimo di suonare in acustico, è stato interessante per me e penso che continuerò a fare ancora cose simili nel futuro.

 

La prossima domanda riguarda le persone con cui hai lavorato per questo disco. Cosa puoi dirci di loro, come vi siete trovati insieme? Hai lavorato da solo sul nuovo materiale o ti hanno aiutato?

 

Abbiamo lavorato molto insieme. Io suono la chitarra ma in maniera molto basica, quasi rudimentale direi. Ehren Groban mi ha aiutato tantissimo per questo disco, a creare le basi e lavorarci sopra, credo che sia una delle persone maggiormente coinvolte nel progetto. Lui è il mio braccio destro, il mio chitarrista come io sono il suo cantante e lo apprezzo all’inverosimile. Per la maggior parte del lavoro siamo stati lui ed io, abbiamo messo insieme le nostre visioni per il disco, siamo andati in due studi diversi per registrarlo e Ehren ha fatto un lavoro fantastico. Ci ha dato una grande mano il nostro produttore, Harper Hog, e gli altri musicisti Mike Pygmie, Greg Saenz. Molta altra gente ci ha dato una mano ma la persona che più mi ha aiutato è Ehren, senza di lui non sarei riuscito a fare nulla.

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Volevo chiederti dei riarrangiamenti acustici di alcuni dei classici dei Kyuss. Personalmente credo che abbiate fatto un ottimo lavoro, ma mi è anche sorto spontaneo la domanda: è stato difficile per te? Considerando che sono tue canzoni, scritte ormai più di vent’anni fa.


 

Si, devo dirti che non è stato affatto semplice. Trasformare una canzone come "Green Machine" in, non una ballad ma qualcosa di simile, qualcuno l’ha chiamata ballad, qualcun altro l’ha chiamata blasfemia, ma io penso che non sia diventata una ballata, è semplicemente una diversa esecuzione della stessa canzone. Ehren ed io ci siamo approcciati a questa cosa con un profondo rispetto per una canzone che ha scritto Brant Byork (primo batterista dei Kyuss ndr). Canzoni come "Green Machine" o "Gardenia", per come le abbiamo fatte, le considererei quasi delle cover, sai com’è, proprio delle cover e le abbiamo suonate in una versione diversa, tutto qua. A molte persone non è piaciuta questa cosa ma va bene così, questo disco è stato creato con l’intenzione di non essere per tutti, è un disco che metti su quando stai viaggiando nel deserto della California.

 

Scusa se t’interrompo, ma è esattamente la stessa immagine che ho avuto io nella mente mentre lo ascoltavo.

 

Esattamente! È proprio quello che volevamo trasmettere. Puro e semplice, non ci interessa molto che ci siano state critiche per aver trasformato "Green Machine" in una, ok chiamiamola così, ballad. Ci abbiamo messo un bel po’ di tempo per ottenere il risultato che potete sentire sul disco e ci piaciuto un sacco quindi siamo soddisfatti.

 

Anche a me è piaciuta molto e parlo da grande fan dei Kyuss.

 

Grazie, lo apprezziamo.

 

Proseguirei parlando del sound del disco: nonostante sia un disco acustico, che molti potrebbero definire “soft”, ha un sound molto solido e potente. Come avete raggiunto questo risultato?

 

Abbiamo iniziato con un’unica direzione: la semplicità. Ci siamo messi lì con tre chitarre, una 12 corde e due 6 corde, una con cordiera di nylon e l’altra d’acciaio. E basta. Abbiamo voluto mantenere tutto il più basico possibile ed è anche il motivo per cui non è tutto registrato in maniera assolutamente perfetta. Si possono sentire i movimenti delle dita sulle corde, i respiri dei musicisti, tutte queste cose che potrebbero essere considerate imperfezioni, le abbiamo lasciate lì perché c’era della bellezza anche in quelle ed era esattamente ciò che volevamo, così come l’abbiamo registrato. Non abbiamo ancora definito tutte le date del tour, spero che verremo in Italia prima o poi con lo show acustico perché così anche voi potrete sentire che il suono è esattamente quello che si sente su disco. Abbiamo voluto mantenere le tracce semplici, vere, abbiamo aggiunto un po’ di basso, di tastiera e di percussioni per dare spessore ai brani, ma sempre mantenendo l’idea iniziale. Tutti coloro che hanno lavorato a questo disco hanno colto in pieno questa filosofia e il risultato finale è stato fantastico. Soprattutto è stato bello non eccedere nella produzione, che di solito ti fa entrare in una spirale di pazzia. E ti dirò anche che non è stato poi così facile lasciare tutto così come veniva, non ricamarci troppo sopra, abbiamo tenuto fede alla nostra visione iniziale.

 

Parliamo del titolo dell’album: "The Coyote Who Spoke In Tongues". C’è qualche significato particolare dietro questo titolo o qualcosa che ci puoi raccontare a riguardo?

 

Guarda, sarò molto onesto: è un titolo che ho pensato insieme a mio figlio ma non c’è niente di trascendentale dietro, ci è semplicemente sembrato molto appropriato per questo tipo di canzoni. C’erano varie opzioni e abbiamo scelto questa. Il coyote è semplicemente un elemento ovviamente legato al deserto, che è dove vivo, dove sono cresciuto e dove mi sono stabilito con la mia famiglia, dove mi sento a casa. È un luogo che amo, che è parte di me e volevo esprimerlo nel titolo. È capitata la scelta del coyote ma poteva anche essere il serpente a sonagli o qualche altro animale che si può trovare da queste parti. La fauna del deserto è parte della nostra vita. Davvero non voglio pontificare sul titolo o dirti che ci sono significati nascosti dietro, l’abbiamo pensato insieme io e mio figlio, che ha 7 anni. Lo adoro e mi è piaciuto tantissimo coinvolgerlo in questa cosa.

 

La prossima domanda riguarda la tua carriera, ormai più che ventennale. Dopo tutto questo tempo, cosa ti ispira? Qual è la molla che ti spinge a scrivere nuova musica?

 

Credo che sia tutto legato al fatto che sono ancora un fan della musica. Mi piace sempre cercare nuove band, nuove cose da ascoltare che mi facciano viaggiare con la mente, che valga la pena ascoltare. Sono davvero semplicemente spinto dall’amore per la musica: dopo vent’anni amo ancora scrivere, cantare ed esibirmi dal vivo, amo andare on the road con i miei musicisti e portare la nostra musica agli altri, anche solo con voce e chitarra. Veramente, credo sia tutto qui, non voglio darti una risposta da film mentale alla Jim Morrison (ride ndr). Io non sono che un uomo normale in una posizione fuori dal normale, che è, prima di tutto, poter suonare e fare musica e poi anche occuparmi, insieme a mia moglie, di un ospedale per animali. Sono queste le cose che amo fare, sette giorni su sette ventiquattr’ore su ventiquattro. Niente di più e niente di meno. Sono semplicemente molto molto fortunato e amo quello che faccio.

 

Beh credo sia il sogno di tutti, amare ciò che si fa nella vita.

 

Assolutamente, credo sia il senso stesso della vita: amare il proprio lavoro, avere accanto a sé la famiglia e gli amici più cari. È tutto ciò di cui ho bisogno per stare bene: mia moglie, i miei due figli, che sono due bambini straordinari che amo più di me stesso, fare la mia musica e curare gli animali. Ripeto: sono una persona fortunata.

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Adesso parliamo un po’ di musica dal vivo: prima accennavi che state organizzando un tour per promuovere questo nuovo disco, c’è la possibilità di vederti qui in Italia?

 

Si faremo un tour europeo di due settimane ad aprile ma purtroppo non verremo in Italia, ci piacerebbe molto, sono serio, amo venire nel vostro splendido paese, adoro le persone, adoro il cibo, i paesaggi, avete davvero un paese straordinario. Faremo molti paesi dell’est Europa, Croazia, Slovenia eccetera e poi faremo la Germania e l’Olanda. Il problema è il tempo molto limitato che ho, per via del mio impegno nell’ospedale per animali, è una cosa molto importante per me e non posso lasciarlo più di tanto.

 

Ok, ci dispiace ma speriamo che possiate tornare prima possibile. Questo si collega alla prossima domanda che volevo farti: hai dei ricordi particolari legati all’Italia? Magari sull’ultimo concerto dei Kyuss in assoluto, che fu a Reggio Emilia nel 1994

 

Guarda, tutte le volte che i Kyuss hanno suonato in Italia sono state pazzesche, in tutti i sensi (ride ndr). Alcuni dei ricordi più cari che ho dei tour e dei concerti con i Kyuss sono legati all’Italia e ricordo bene che la risposta del pubblico che avevamo era incredibile, al di là di qualsiasi nostra aspettativa. È stato così anche dopo ma con i Kyuss era qualcosa di fenomenale. L’Italia ha quindi un posto molto speciale nel mio cuore, è un paese bellissimo. La gente, il cibo, i paesaggi e la cultura mi hanno sempre affascinato e ogni volta che ci torno, ho una sensazione di pace, di completezza, non riesco a spiegarlo bene ma non mi è capitato con nessun altro paese al mondo. Dico davvero, non perché sto parlando con te che sei italiana: c’è una passione, un’attitudine nel vostro paese e negli italiani che non ho trovato in nessun’altra nazione. Mi dispiace moltissimo, davvero, non venire per questo tour.

 

Grazie per tutti questi bellissimi complimenti, speriamo che possiate tornare da noi, ce lo auguriamo. L’ultima domanda riguarda il tuo futuro come musicista: cosa dobbiamo aspettarci da te nei prossimi tempi?

 

Io amo cantare, scrivere e registrare quindi il prossimo passo sarà un nuovo disco elettrico, sarà più pesante, più veloce e più cattivo del mio ultimo album solista, te lo posso promettere, e non vedo l’ora che esca. Dopo penso che continuerò anche la strada acustica e ovviamente continuerò a fare tour, anche acustici. Ti dirò è la mia nuova passione, quasi una droga. Finché mi sarà possibile voglio continuare così e continuare con i miei musicisti, ci tengo a sottolinearlo perché sono molto legato a loro e soprattutto a Ehren, ma tutti loro meritano tantissimo rispetto per ciò che fanno, tengo molto al fatto che gli venga riconosciuto il loro lavoro. Sono persone fantastiche e grandi musicisti e sono davvero fiero di averli con me.

 

Riporterò esattamente quello che mi hai detto, promesso. Ok abbiamo finito, grazie ancora John per il tuo tempo e speriamo di averti presto con noi in Italia.


 

Grazie a te, lo spero davvero.


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