Methodica (Massimo Piubelli)
Da alcuni anni sulle scene, due album già pubblicati (il secondo dei quali uscito da pochissimo), un sound estremamente personale, i Methodica sono una interessante rivelazione tricolore in continua maturazione. Massimo Piubelli, cantante della band, ci racconta l'attuale momento, favorevole, della band.
Articolo a cura di Stefano Torretta - Pubblicata in data: 18/11/15

Ciao Massimo, benvenuto su SpazioRock. Avete pubblicato da poco il vostro secondo LP, "The Silence Of Wisdom". Ci puoi raccontare la genesi di questa vostra nuova creatura musicale?

 

Dopo aver concluso la promozione del primo disco "Searching For Reflections", e aver suonato in vari festival (Pistoia Blues e 2DaysProg tra gli altri), abbiamo iniziato a pensare al nuovo lavoro, e ci siamo chiusi in studio a comporre pezzi e a concretizzare le idee che avevamo già in mano. Il processo di scrittura è stato abbastanza laborioso, perché volevamo scrivere un album di cui essere assolutamente orgogliosi; doveva essere un passo avanti rispetto al primo disco, e quindi abbiamo accantonato o scartato materiale che sulla carta sembrava funzionare ma al momento di suonarlo non ci soddisfaceva pienamente. Abbiamo anche inserito nuovi elementi, come parti orchestrali o suoni elettronici, che su "Searching For Reflections" erano assenti. Ci piace sperimentare nuove soluzioni.

 

Aver avuto la possibilità di appoggiarsi agli Industrial Studios del vostro chitarrista Marco Ciscato per le registrazioni dei pezzi ha sicuramente giocato in vostro favore.

 

Certamente, potevamo registrare a qualsiasi ora e in qualsiasi giorno. Avevamo piena libertà di movimento e nessun limite di orario o di tempo, la situazione ideale per qualsiasi band che registra un disco. Ricordo serate intere trascorse ad ascoltare pre-mix dei brani per capire se potevano funzionare oppure se dovevamo metterci le mani, oppure scegliere i suoni che potevano essere più adatti al mood che volevamo dare alle canzoni. Era una situazione veramente stimolante e creativa.

 

La copertina dell'album risulta estremamente accattivante. Avete lasciato completa libertà a Alessandro Palvarini oppure ha seguito delle vostre linee guida in tema con l'argomento dell'album?

 

Gli abbiamo lasciato libertà completa. Lui ha ascoltato ripetutamente i demo delle canzoni e ha studiato le liriche, per capire che piega stava prendendo l'album. Ha lavorato su alcune idee e una sera si è presentato in studio con una bozza di copertina dove campeggiava un albero rinsecchito, e un titolo "The Silence Of Wisdom" che ci è piaciuto subito e che rappresentava perfettamente le idee e l'umore del disco. Dal primo momento abbiamo capito che era l'idea giusta.

 

Parlando di tematiche trattate in "The Silence Of Wisdom", quali sono stati gli argomenti che avete voluto sviluppare?

 

Le canzoni del disco parlano di vari argomenti e sono ispirate sia a situazioni autobiografiche che a storie immaginarie. "The Angel Lies Dying" ad esempio ha come protagonista un angelo morente mandato sulla Terra credendo di doverla salvare, per poi rendersi conto di essere stato semplicemente mandato a morire, come agnello sacrificale. "The Lord Of Empty Spaces" è un brano molto "ambientalista", dove il protagonista è il pianeta Terra, agonizzante e maltrattato dagli essere umani, che racconta di quando tutto era pace ed equilibrio e poi è arrivato l'uomo a guastare tutto. "Ukiyo-e" è una "instant song" sulla guerra, raccontata dal punto di vista dei civili inermi, ha un testo breve che racconta per immagini e per sensazioni, più che essere descrittivo. "J." racconta dell'attesa di qualcosa o qualcuno che potrebbe un giorno arrivare oppure no. "Only Blue" è un invito a guardare avanti e a lasciarsi il passato alle spalle. "Destruction Of Idols" racconta dell'arrivismo e del carrierismo, e di cosa e chi siamo disposti a sacrificare pur di raggiungere i nostri obiettivi. "Caged" racconta della nostra società odierna, oppressa da crisi, conflitti e situazioni collettive e personali da cui però non riusciamo o non vogliamo uscire. Come vedi, gli argomenti sono molto diversi tra loro.

 

 

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Come nel precedente EP "Light My Fire", anche sul vostro nuovo album è presente una cover: sull'EP si trattava del brano omonimo dei Doors, in questo caso avete scelto "Firth OF Fifth" dei Genesis. Come nasce la scelta del brano da coverizzare? E soprattutto, quale è il processo che vi porta ad ottenere delle cover estremamente personali, in quanto a stile?

 

"Light My Fire" l'avevamo ri-arrangiata perché avrebbe fatto parte di un cd tributo ai Doors a cui eravamo stati invitati a partecipare, con altre bands. È stata una bella sfida stravolgere un classico del rock cercando allo stesso tempo di rispettarlo, eravamo su un territorio delicato. Visto l'esito positivo e i pareri favorevoli che la nostra versione ha ricevuto, abbiamo pensato di alzare il tiro e provare a cimentarci anche con i Genesis ed un brano a prima vista "intoccabile" come "Firth Of Fifth", utilizzando la stessa formula: melodia vocale riconoscibile su arrangiamenti e giri di accordi completamente diversi dall'originale. Ci piace molto lo stile che avevano adottato gli A Perfect Circle con il loro album "eMotive": sono cover ma sembrano canzoni originali, è stata un'ottima ispirazione.

 

Dal video di "The Marble Column" in poi avete sempre affidato la regia a Valentina Fusa. Come è nata questa collaborazione che ormai conta ben quattro contributi?

 

Valentina è prima di tutto una nostra cara amica, ed è anche una regista molto brava. Abbiamo lavorato sempre molto in sinergia, scambiandoci idee e proposte sulle ambientazioni dei video e su ciò che volevamo trasmettere con le immagini. La formula ha funzionato sempre molto bene, infatti siamo già al lavoro su un altro videoclip per un altro brano del nuovo album, ma non vi roviniamo la sorpresa.

 

Avete suonato con band del calibro di Dream Theater, Queensryche, Vision Divine, Uriah Heep, Anathema. Cosa vi hanno lasciato queste esperienze, professionalmente e personalmente?

 

Sono esperienze che ci stimolano a fare sempre meglio e ci danno motivazioni molto forti per continuare a fare musica, in una situazione come quella italiana dove suonare la propria musica è sempre più difficile. E poi da questi artisti c'è sempre da imparare quindi per noi è stata ed è una scuola.

 

Rimanendo in tema esibizioni, il prossimo 28 novembre aprirete la serata mensile delle SpazioRock Nights al Legend Club di Milano, con a seguire Spanking Hour e Eldritch. Cosa ne pensi di questa iniziativa che cerca di dare visibilità ad interessanti realtà musicali italiane?

 

È assolutamente positivo organizzare e promuovere questi eventi, per far conoscere artisti e bands che altrimenti hanno poche possibilità di farsi vedere e sentire. Purtroppo siamo sommersi da talent shows e reality che danno un'immagine distorta o quantomeno parziale del concetto di musica e di artista, sembra quasi che il passaggio ad un talent sia un percorso obbligato, mentre la verità è là fuori, come diceva qualcuno. A me personalmente ogni tanto qualcuno chiede "quand'è che vi vedremo a X-Factor o Sanremo?" come se non esistesse altro...

 

Ascoltando la vostra musica si respira più un'aria internazionale, come influenze, piuttosto che italiana. Guardando alla scena prog nazionale del passato, che ha prodotto esponenti estremamente illustri, vi sono state band che sono state fonte di ispirazione per i Methodica?

 

Ci sono state e ci sono tuttora molte band a cui ci ispiriamo, non necessariamente in ambito progressive. I nostri punti di riferimento spaziano dai Dream Theater ai Muse, dai Genesis a Devin Townsend, dagli U2 ai Nine Inch Nails, fino a Coldplay, Tool, la musica classica.... davvero l'elenco è lunghissimo.

 

Cantando i vostri pezzi in inglese, passaggio obbligatorio, purtroppo, per aprirsi verso il mercato estero, sicuramente più florido di quello italiano, non vi viene mai la voglia di provare ad utilizzare la vostra lingua madre?

 

Al momento non sentiamo l'esigenza di cantare in italiano, i nostri testi sono in inglese proprio per dare al nostro progetto un respiro internazionale e rendere la nostra musica fruibile anche oltre i confini nazionali. E poi, da un punto di vista pratico, è risaputo che nella musica la lingua inglese è molto più pratica dell'italiano, la metrica e l'adattamento delle parole alla musica sono più semplici e adattabili.




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