L'Orso (Mattia Barro)
All'uscita del nuovo album, L'Orso ci presenta la nuova formazione, ci racconta delle piccole rivoluzioni e dei numeri che davvero contano
Articolo a cura di Gaia Minozzi - Pubblicata in data: 04/02/15
Ciao Orsi, benvenuti su Spaziorock!
Prima di tutto auguri per il nuovo album, “Ho messo la sveglia per la rivoluzione”. Qual è la vostra rivoluzione? Di che rivoluzione si tratta esattamente?
 

E’ una rivoluzione personale. Perché prima di iniziare una qualsiasi rivoluzione sociale è necessario che siano i singoli a cambiare, migliorare. Il concetto della rivoluzione da divano deve terminare. Bisogna dare segnali, ripartire da se stessi, ripartire dalle piccole cose, dai buoni gesti. La società cambia ad ogni cambiamento del singolo, così come lo Stato, ed è necessario cominciare da questo. Puntare il dito, attenersi al precedente di qualcun altro non aiuta in nessuno modo la crescita di cui tutti sembriamo in attesa. E’ il momento dell’agire.


Mi sembra che “Ti augurerei il Male” sia stato un po’ il punto di passaggio fra il primo e il secondo album anche dal punto di vista tematico, dalle speranze da cameretta e le fantasticherie sui “paesaggi bellissimi” ai rammarichi di un abbandono e i ricordi un po’ tragicomici del primo bacio, no? Cosa è successo, L’Orso è cresciuto?


Sì, quel brano era uscito proprio per iniziare a segnare questo passaggio a cui stavo lavorando. L’orso è cresciuto e io che scrivo i brani sono maturato prendendo coscienza dello scrivere. I primi lavori nascevano dalla mia post-adolescenza. Questi nascono dalla mia attualità, dai miei occhi di oggi. È un disco che vede il mondo oggi, senza latenza di tempo.


Siete tornati con una formazione tutta nuova, come si è evoluta la cosa?


L’Orso aveva bisogno di una nuova linfa. Di qualcuno pronto al sacrificio e all’impegno e alla passione che questo progetto merita. Niccolò e Francesco sono prima di tutti dei miei amici con cui avevo collaborato in un altro progetto e nella data a teatro, averli dei nostri è stato semplice. Omar è giunto a noi tramite amicizie comuni e si è inserito con una facilità disarmante. Penso che ora abbiamo una formazione che può davvero fare la differenza in studio come nei live, dove prima eravamo tecnicamente deboli, come è giusto ammettersi per crescere e cercare di migliorare sempre.


Questo secondo album segue una linea più elettrica, come è cambiata la composizione, il lavoro sui brani?
 

Finora il lavoro era abbastanza standard: io scrivevo musica, melodia e testi, con gli altri ci si lavorava un poco per trovare alcune parti e si andava in studio. Questo disco nasce sempre dalla mia penna e dai miei provini, ma invece di limitarci ad arrangiarli, abbiamo provato a smontarli e ricostruirli con delle idee ben precise. C’è stato tanto lavoro in studio tra noi de L’orso e Matteo Romagnoli e Enrico Roberto. Un nuovo modo di lavorare che ti apre la mente e in cui ti metti tanto in gioco, soprattutto impari a mettere da parte l’orgoglio musicale del ‘la mia versione è per forza la migliore perché ci sono legato’. La musica è condivisione, a partire dal lavoro di produzione.


Cosa significa per L’orso “Un altro giorno”, cover del brano di Nesli, che porterete in tour?


‘Un altro Giorno’ è stata quasi interamente registrata da me e Francesco, nella casa dove viviamo a Milano. Gli avevo spiegato che volevo fare una versione fedele, un omaggio gigantesco e diretto alla mia adolescenza. E’ stato, in ordine cronologico, un altro segnale del nostro cambiamento. Era importante fare un pezzo rap suonato e far sì che io potessi rappare, seppur parole altrui. Ci ha dato grande consapevolezza di dove portare certi brani del disco.
 
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Avete scritto che nonostante l’album esca il 3 Febbraio, farete uscire l’80% dei brani prima della data x, ci volete parlare di questa decisione coraggiosa?
 

Abbiamo sempre dato musica in maniera gratuita. Pensiamo che i soldi che il pubblico investe nella musica siano da ritenersi come un investimento al progetto, alla band. Per questo, in ogni caso, il nostro disco si troverà su Spotify e Youtube, quindi su piattaforme gratuite. L’idea di far uscire gran parte del disco era per evidenziare questo passaggio: se credete in quello che facciamo, investite in noi. Perché è inutile negare che è necessario l’investimento del pubblico per la sopravvivenza e la crescita. Ed il nostro ha risposto mandandoci ai vertici delle classifiche di iTunes, un segnale forte all’industria. Perché per sopravvivere è necessario fare dei numeri, ma è importante che questi numeri non siano banconote, ma persone che credono in un’idea di musica. La musica può essere gratuita se il pubblico investe. E’ una strana economia, ma penso sia comunque semplice da capire.



Come ha inciso l’esperienza in Francia e in Belgio su L’Orso?

 

È stato divertente, assurdo, in un certo senso incredibile. Ho scritto molte canzoni, in cameretta, a Banchette (tremila abitanti). E le ho suonate in centro a Parigi, in un locale pieno. Quando ci penso mi sembra di raccontare la vita di un'altra persona da quanto non l’avrei mai immaginato.


Mattia, lo scorso anno hai presentato “La musica nel Pallone”, un libro sul legame fra musica e sport, hai altri progetti simili in cantiere?
 

L’anno scorso ho avuto questa splendida parentesi. Ora sto lavorando, con molta calma, ad una sorta di guida musicale alla vita del musicista indipendente in tour. ‘La musica nel pallone’ mi ha insegnato a musicare e a portare in tour qualcosa che partiva distante dalla mia musica suonata. E’ stata una sfida importante per la mia crescita.


Mentre il progetto “The Swimmer” come è nato e come si sviluppa parallelamente alla vita de L’Orso?
 

E’ nato in un momento di pausa de L’Orso. Avevo bisogno di fare usare elettronica e synth e passare anche alla parte di produzione. In The Swimmer sono presenti anche Niccolò e Francesco che ora sono de L’Orso e Alessandro che ha lavorato molto sul nuovo disco di Mecna. E’ un progetto che possiamo accendere e spegnere, è una valvola di sfogo creativa.


Grazie per la disponibilità! Due ultime parole per i lettori di Spaziorock?


Noi vi abbracciamo e speriamo di vedervi sotto il palco, ci piace parlare del disco, ma preferiamo suonarvelo.



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